Vamba
Ciondolino
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SECONDO VOLUME

XXXVII. Il mistero dell'uva salamanna.

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XXXVII. Il mistero dell'uva salamanna.

 

, dentro l'alveare, in quella bella e grande città dove nulla mancava, in mezzo a un popolo amico e devoto, le due formiche conducevano una vita dolce e tranquilla.

- Una vita dolce come il miele, - diceva Grantanaglia, che del miele se n'intendeva dimolto.

Le api, grate del benefizio ricevuto, avevano messo a disposizione dei due ospiti una bella cameretta, dove tre volte al giorno sopra una tavola

fabbricata da Gigino con un guscio di seme di zucca, era loro servito un pasto degno veramente della mensa di un imperatore.

Una volta, anzi, Dolcina preparò per le due formiche perfino una gelatina reale, un piatto squisito, molto diverso dal solito miele, e che fece esclamare al ghiotto luogotenente:

- Questa gelatina reale bisognerebbe poterla avere tutti i giorni.

- È impossibile - rispose Dolcina - poiché questo alimento di una sostanza più densa e più inzuccherata di quella d'ogni altro nostro alimento, essendo di una potenza straordinaria, è riservato alle larve femmine, a quelle che sono destinate a diventare api regine. Per questo si chiama gelatina reale.

- Ah sì? - domandò Gigino con interesse. - Dunque tu dici che è di una potenza...?

- Straordinaria. Il genere dell'alimento ha molta influenza sullo sviluppo delle nostre larve. Nelle celle comuni noi poniamo l'alimento comune e nasce un'ape operaia; nelle celle reali mettiamo questa sostanza speciale e nasce un'ape Regina, che si sviluppa in ragione della sua cella più grande delle altre, ma più di tutto per dato e fatto del nutrimento.

- Sicché?

- Sicché se noi si desse a mangiare questa gelatina reale a una larva di ape operaia, diventerebbe invece un'ape Regina. -

A questa dichiarazione Gigino rimase col boccone a mezzo.

- Dio mio! E dimmi: non ci sarà il caso che io che l'ho mangiata, sia ridotto a scaricare centinaia d'uova tutto il giorno? -

Dolcina stava zitta e sorrideva.

- Dolcina, per carità rispondimi... Mi sento un non so che dentro lo stomaco... Dolcina, via, fammi il piacere. Ah! sarebbe un tradimento troppo grosso! -

Dolcina, visto che Ciondolino incominciava a contorcersi, lo rassicurò.

- Ma ti pare, grullerello, che questo alimento in una formica possa avere lo stesso effetto che in un'ape? -

Gigino che si vedeva già condannato a far quindicimila uova per la fine della stagione, si rasserenò e trasse un gran sospiro di soddisfazione.

Quindi rivoltosi all'ape, la pregò di non portargli mai più gelatine reali, ciò che fece esclamare all'ingordo Grantanaglia:

- Che peccato! io per un altro boccone di questa roba m'impegnerei a fare uova dalla mattina alla sera. -

Gigino lo guardò severamente, esclamando con indignazione:

- Vergogna! Un aiutante di campo! Faresti una bella figura! Andiamo, via. Voglio passarti in rivista e farti fare alcuni nuovi esercizi militari. -

Bisogna sapere che l'imperatore Ciondolino dacché si trovava nell'alveare, in mezzo a un popolo a lui devoto, ammesso com'era alla confidenza di una Regina autentica, si era sentito risvegliare tutta l'antica ambizione, e nel suo cervello, dirò così, di bambino informicolato, si maturavano i progetti più strampalati di future spedizioni militari, di imprese gloriose e di nuove civili riforme nella organizzazione della società degli insetti.

Dolcina che era a parte di tutti questi suoi sogni pur non approvandoli, s'era sentita un po' lusingare dalle promesse d'esser fatta un giorno duchessa e d'esser messa a capo dei magazzini di corte, e per contentar Gigino, adoperando una sostanza resistentissima composta di cera e di gomma, gli aveva fabbricato, secondo i suggerimenti ch'egli le aveva dato, una bellissima corona imperiale e due splendide corazze, una per lui, l'altra per il suo luogotenente.

Appunto in questo costume guerresco Gigino e Grantanaglia ogni giorno eseguivano alcuni esercizi militari, che consistevano generalmente in una solenne rivista fatta dall'imperatore al suo unico seguace al quale gridava:

- Contate per due! -

E Grantanaglia rispondeva pronto:

- Uno! -

Intorno a' due ospiti battaglieri intanto l'innumerevole popolo delle api lavorava febbrilmente per assicurare la vita alla nuova generazione.

All'ingresso dell'alveare, sempre guardato dalle vigili sentinelle, era un continuo viavai di operaie che recavano la raccolta fatta nei loro viaggi e destinata alle larve e ai magazzini di viveri per la cattiva stagione.

Dalla porta della città non passavano meno di un centinaio di api ogni minuto, e Gigino, che spesso assisteva ai loro lavori, calcolava che ogni ape facesse giornalmente quattro viaggi, in modo che, essendo il popolo composto da trentamila cittadini, questi facevano in totale centoventimila escursioni al giorno.

Tale prodigiosa attività, dava all'alveare un'apparenza di disordine e di confusione, ma osservando minutamente, tutto produceva con una regolarità maravigliosa; ognuno attendeva con esattezza e con impegno al proprio compito; e mentre le raccoglitrici distribuivano con ordine il miele, la cera e la gomma, altre si dedicavano alla pulizia della città, altre ancora trascinavano fuori dell'arnia qualche ape morta, e altre s'incaricavano di allontanare qualche straniero molesto.

Nutrite con tanta cura e tanta sollecitudine le giovani larve crescevano a vista d'occhio, e il nostro Ciondolino si divertiva ad andare a vedere nelle diverse celle i loro corpi molli e privi di gambe.

Una mattina osservò che le api incaricate di deporre dentro gli alveoli il nutrimento per le larve erano invece occupate a chiudere parecchie celle con un coperchio di cera.

- Ma così moriranno soffocate! - esclamò Gigino.

- Niente affatto, - rispose un'ape. - Queste larve sono già sviluppate. Ora stanno cambiandosi in ninfe, si filano il loro piccolo bozzolo, dal quale uscirà poi l'insetto perfetto, che non durerà molta fatica a sfondar il coperchio e a venire fuori dalla sua camera. -

Gigino seguì con interesse questa operazione, e vide che tra le altre era stata chiusa anche una cella reale, con un coperchio a cupola, di forma differente dalle altre.

- Corbezzoli! - esclamò. - Quanti privilegi hanno queste femmine! -

In quel momento Grantanaglia venne ad avvertirlo che il pranzo era in tavola, ed egli raggiunse il suo luogotenente nella camera, dove un'ape inviata da Dolcina aveva preparato un'appetitosa pietanza.

Ma appena l'ebbe assaggiata, Gigino incominciò a preoccuparsi e a biasciare mormorando:

- Ma io questa pietanza la conosco! Ha un sapore che non mi è nuovo. Dove diavolo ho mangiato di questa roba? -

A un tratto si alzò con un grido:

- Ah, la mia uva salamanna! Questa è l'uva salamanna della mia villa! -

E rivoltosi all'ape continuò:

- Amica mia, dove hai preso il sugo per fare questo miele? Ah, dimmelo! Tu non puoi credere quanta importanza per me abbia quest'affare.

- Infatti - rispose l'ape - io mi son fermata a succiare certa uva di una vite, che stende i suoi rami sulla facciata d'una casa d'uomini.

- È lei! - gridò Gigino. - È la mia salamanna! E dimmi, dimmi... È molto distante di qui?

- Eh sì.

- Senti, cara apicina mia. Dimmi una cosa: non potresti tu..., scusa sai... portarmi a cavalluccio fin ?

- Per oggi è impossibile. C'è molto da fare qui dentro.

- Domattina?

- Domattina... forse!

- Allora ci siamo intesi eh? Domattina! - esclamò Gigino, al colmo dell'entusiasmo, mettendosi a saltare come un grillo canterino. -

L'idea di rivedere la sua mamma gli aveva fatto dimenticare a un tratto tutti i suoi ambiziosi propositi, e avrebbe voluto che la giornata fosse passata in un baleno, per poter tornare alla villa dalla quale era stato così bruscamente portato via dal cappello dello zio Tommaso.

Proprio vero che basta il pensiero della mamma per mettere in fuga tutti i pensieri cattivi!

 

 

 


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