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XXXVIII. La città in rivoluzione.
Ma, pur troppo, la giornata che Gigino avrebbe voluto veder passare in un baleno fu invece la giornata più lunga e più ricca di avvenimenti gravi, decisivi, terribili.
Egli incominciò ad accorgersene subito quando incontrò la Regina, dalla quale si recava a comunicare la sua intenzione di partire l'indomani col suo aiutante e per ringraziarla e prender congedo.
- Giusto te! - gli disse ella con tono ruvido. - Tu invidiavi il mio stato, non è vero?
- Certo - rispose Gigino. - Tu così potente, così adorata...
- Potente! Adorata! - replicò la Regina con accento sarcastico. - Vuoi vedere come è grande ora il mio potere e come mi adorano i miei sudditi? -
E rivolgendosi ad un gruppo di api, gridò:
- Olà!... Venite a darmi da mangiare! -
Con grande stupore di Gigino le api tentennarono la testa e non si mossero.
- Lo vedi? - gridò la Regina. - Lo vedi come mi obbediscono i miei sudditi? E tutto questo sai perché? Perché è per nascere un'ape femmina, un'ape Regina, una rivale cui io stessa ho dato la vita.
- Come! - esclamò Gigino sempre più maravigliato. - Quelle celle reali che sono là in fondo racchiudono dunque delle aspiranti al trono? -
La Regina non gli rispose; ella guardò verso la parte dove aveva accennato Gigino, e slanciandosi furibonda a quella volta gridò:
- Ah sono là, dunque, queste nuove regine! -
Egli la seguì. Ma presso le celle reali un fitto stuolo di api operaie, che stavano evidentemente di guardia e prevedevano la venuta della vecchia Regina, le si scagliarono contro rigettandola indietro gridando:
- Di qui non si passa! -
Gigino rimase esterrefatto di fronte a tanta audacia: egli, che fin dal suo ingresso nell'arnia aveva assistito a tante prove di devozione date da quel popolo alla sua sovrana, non poteva credere che, a un tratto, si fosse cambiato al punto di mettersi addirittura in ribellione.
Pure qualche cosa di strano, di nuovo, accadeva o stava per accadere. Era impossibile il dubitarne.
Pochissime api erano uscite in quel giorno e la città era piena di operaie agitate che si riunivano in gruppi qua e là, discutendo calorosamente.
Gigino, passando, udì un'ape gridare in mezzo a una folla di operaie che applaudivano:
- Siamo in troppe qui dentro!... Da due giorni sono nati altri cinquemila cittadini... Se non si vuol morir soffocate, bisogna prendere una risoluzione! -
Egli non capiva, ma certo si doveva discutere di gravi affari di stato. Cercò dovunque Dolcina per chiederle spiegazione, ma in quella folla confusa non riuscì a trovarla. Domandò qualche notizia ad altre api, ma esse non gli risposero: erano troppo agitate, troppo occupate a discutere per badare a lui.
Allora Gigino, molto impensierito rientrò nella sua stanza e fece un gesto d'ira vedendo Grantanaglia ancora intento a mangiare pacificamente i resti del pasticcio d'uva salamanna:
- Disgraziato! - gridò. - Tu non pensi che a impinzare il tuo corpaccio insaziabile, e intanto di fuori tutto il popolo è in piena rivoluzione. -
L'aiutante di campo rimase a bocca aperta dalla sorpresa. Poi, arrendendosi a un'ultima invincibile tentazione, esclamò:
- Maestà, finisco questo boccone e vengo subito! -
Gigino al colmo del furore lo afferrò per la gola e lo strinse forte gridando:
- Se quel boccone deve passare di qui, credo che ci starà un pezzo! -
E non lo lasciò libero, finché non l'ebbe trascinato fuori.
- Ma che cos'è? - balbettò Grantanaglia appena poté ripigliar fiato. - Sono forse tutti diventati matti, in questa città? -
Il fermento popolare era aumentato. Ora tutte le api gridavano, sbattendo le ali e gesticolando in preda a un'eccitazione straordinaria, come se veramente avessero perso tutte la testa.
A un tratto si avanzò la vecchia Regina, superba, ammirevole nella sua maestà, e disse:
- Popolo! Io credo finora d'aver compiuto scrupolosamente il mio dovere di madre comune; me lo prova il numero immenso di nuove api che vedo tra voi, tutti figli nati da poco, e ai quali io ho dato la vita...
- È vero! Viva la Regina! - gridarono molte api.
- Grazie, - riprese ella. - Ma qui la mia missione, lo vedo, lo sento, è terminata: la nuova generazione che io ho creato, per la quale tutte voi, o vecchie operaie, avete lavorato, ha bisogno di spazio, ha bisogno di svolgere tutta la sua attività, ha bisogno di piantare qui un nuovo e giovine regno... e già sta per ischiudersi la cella della nuova Regina.
- Viva la nuova Regina! - gridarono altre voci.
- E viva pure, - continuò la vecchia Regina - e sia felice in mezzo a voi che l'acclamate. Voi sapete che in nessuna città di api possono vivere contemporaneamente due femmine, due madri: troppo nobile orgoglio, troppo altera tenerezza noi poniamo nella nostra sublime missione di madre del popolo per dividerla in due... No: resti pure la giovine Regina e possa ella perpetuare la nostra razza in nuove generazioni forti e coraggiose... Quanto a me io non ho ancor terminato il mio compito: molti altri esseri palpitano in me, molte altre vite han bisogno della mia vita e io parto..., io vado a fondare un nuovo regno..., io vado a fare altri figli, grata alla natura che mi dà la forza e la potenza di essere madre a due popoli. Chi mi vuol bene mi segua! -
Dopo pronunziate queste parole, la vecchia Regina mosse improvvisamente verso l'uscita.
Nella massa del popolo nacque una confusione indescrivibile, un pigiapigia spaventevole: e immediatamente una grande folla di api raggruppatasi a un tratto seguì la vecchia Regina verso l'ingresso, e a un suo cenno, con una mossa rapida prese il volo fuori dall'arnia.
Una voce, in mezzo a quel fitto nuvolo di api ronzanti, gridò:
- Addio, Ciondolino! -
E Gigino che era corso all'ingresso, vide Dolcina che, fedele alla vecchia Regina, la seguiva insieme con le altre.
Le due formiche rientrarono nella città molto sconfortate da questi avvenimenti, e rimasero anche più addolorate quando videro che nell'interno l'agitazione continuava ancora.
Le api rimaste si dirigevano disordinatamente verso le celle reali, intorno alle quali stava ancora a far la guardia il fitto stuolo di api che avevano prima rigettata la vecchia Regina.
A un tratto un grido echeggiò nell'alveare:
- Attente!... Eccola!... -
Un'ape, che al corpo più allungato e alle ali più corte si riconosceva facilmente per una femmina, rotto il coperchio che la teneva prigioniera nell'alveolo, uscì fuori, si guardò attorno, e scorgendo presso di sé altre celle reali, incominciò a ronzare dando manifesti segni di malumore.
Quindi, con una mossa subitanea, si scagliò sulla cella accanto, col pungiglione teso, nell'atto di sfondare il coperchio e gridando:
- Ah! ve ne sono delle altre!... -
Ma le guardie, sempre pronte, la fermarono a tempo, e fu strascinata via a forza di popolo, fu circondata, tenuta per le ali, per le zampe, in modo che non potesse rinnovare il tentativo.
L'ape fece sforzi inauditi per liberarsi da quelle strette, ma invano. Alfine rimase ferma, immobile, con le ali incrociate sul dorso, agitandole ma senza allargarle, e in questa attitudine di ispirata ella fece sentire un canto acuto, forte, di una potenza straordinaria e insieme di una infinita dolcezza:
Colei che li creò:
Essi per me vivranno,
Per loro io rivivrò. -
Tutte le api, affascinate, erano rimaste immobili come la cantatrice, a capo chino e in un'attitudine piena d'amore e di venerazione.
Era l'irresistibile incanto della creatura nata per creare, era il grande fascino dell'essere che viveva per dar vita ad altri esseri, era la immensa superiorità della madre universale, della Regina che aveva un regno nelle sue viscere, era tutto questo che aveva fatto chinare il capo in segno di sottomissione a tutto quel popolo, ed era anche tutto questo che sentiva in sì e quell'essere privilegiato.
A un tratto la giovane Regina si scosse:
- Sì! - esclamò con la sua voce ispirata. - Io sento e comprendo la mia missione. Chi vuole aiutarmi mi segua: io vado a compierla. -
E si slanciò fuori dell'arnia: e, com'era già avvenuto per la vecchia Regina, migliaia di api si slanciarono ronzando dietro a lei, ed echeggiò di fuori un grido lieto, entusiastico:
Gigino che aveva assistito a questa seconda spedizione, sentì anche questa volta una voce gridare:
- Addio, Ciondolino! -
- Ho capito; - mormorò egli malinconicamente - secondo me, la mia villa non mi rivede più per un pezzo! -