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XXXIX. Un duello, uno sposalizio e uno sgombero.
Gigino si ricordava quand'era un bambino d'aver sentito parlare spesso dello sciamare delle api; ma solo ora che viveva da insetto in mezzo a tutti quegli avvenimenti di insetti, comprendeva l'alta ragione di Stato che moveva uno sciame ad abbandonare l'arnia natìa.
La popolazione, con le nuove nascite, era via via cresciuta, anzi raddoppiata addirittura; l'alveare era ormai tanto angusto, da non poter contenere tante migliaia di individui: l'igiene, la pulizia, la regola nel lavoro non potevano più esistere in così fitta agglomerazione di popolo; l'ordinamento sociale in quella massa strabocchevole diveniva impossibile; la confusione era al colmo, le sagge istituzioni minacciavano di essere travolte nell'anarchia.
Come fare? Occorreva un rimedio e un rimedio pronto; era necessario che la popolazione diminuisse, era urgente che una parte di essa si esiliasse dalla patria, perché la patria non perisse.
Ed ecco la vecchia Regina, la provvida fondatrice della città, l'antica madre di tutto quel popolo, dare la suprema prova di tutto il suo amore e di tutta la sua tenerezza per quel popolo e per quella città ch'ella stessa aveva creato. Ella dà il nobile esempio alle giovani madri che nasceranno, ella si muove per la prima, ella per prima volontariamente si distacca da tutto ciò che ha amato, e in uno slancio di sacrifizio sublime si esilia dalla patria per salvarla e va a fondare altrove un'altra colonia.
Altre giovani madri, via via che nascono, seguono il nobile esempio, e altre colonie sorgono, si fondano altre società, altre popolazioni si uniscono, si affratellano nel lavoro comune, nel desiderio, nel bisogno, nello scopo alto, immutabile, di assicurare la specie e di perpetuarsi nelle future generazioni.
Che importa che questo scopo una volta raggiunto diverrà la causa, per la quale tante lavoratrici dovranno abbandonare i luoghi ove nacquero e ai quali dettero tutte r loro fatiche? Esse compiono la loro missione, esse servono la loro fede: - Arrestare la morte creando altre vite. -
Gigino che certe volte, ma di rado, aveva anche un po' di buon senso, ritrovava nello sciamare delle api riprodotta in piccolo la grande storia delle razze umane, obbligate da necessità di spazio, di aria, di vitto, a riversarsi fuori dei loro primi confini, entro i quali l'eccessiva quantità di viventi rendeva impossibile la vita.
E questi torrenti umani, che straboccavano dovunque in cerca d'un letto ove dar posto alle loro onde infuriate, rompevano e schiantavano tutto ciò che si frapponeva al loro passaggio e, trovato il luogo ove potersi finalmente allargare, sospingevano via gli elementi che vi giacevano tranquilli, i quali, straboccando alla lor volta, andavano a formare altri torrenti umani ugualmente infuriati.
Tale era la storia delle invasioni degli uomini, costretti, per il loro moltiplicarsi, a conquistare e a seminare di stragi gli altrui territorii; e ben più felici di loro le Api che, vivendo nell'aria, potevano sciamare dal loro nido, quand'era angusto, e crearsene un altro senza nuocere ai diritti altrui!
E Gigino che aveva letto l'Oceano del De Amicis, trovava nello sciamare delle Api anche un più giusto raffronto e un più moderno con la emigrazione. Non è più il torrente umano che irrompe in tutta la sua violenza, ma sono tanti modesti ruscelli che straripano e vanno lentamente per vie diverse in cerca d'un luogo che li accolga: non è più il movimento fatale e irresistibile delle razze umane, ma sono folle d'uomini mesti che abbandonano la patria, dove non possono più vivere e traggono in terre ignote, lontane, sperando trovarvi pane e lavoro.
Lo troveranno? Chi sa! E ben più felici anche di essi le Api, che vivono nell'aria e alle quali non manca mai un fiore ove posarsi.
Le riflessioni di Gigino furono a un tratto interrotte dalle grida assordanti del popolo, che circondava le celle reali.
A malapena riuscì ad afferrare queste parole:
- Sono due! Sentite come ronzano dentro le loro celle! Due regine in una volta! Avremo un duello! -
Infatti, di lì a poco i coperchi delle due celle saltarono quasi contemporaneamente, e due api usciron fuori guardandosi biecamente come due spettri nemici, che sorgessero a un tratto minacciosi dai loro sepolcri.
Questa volta il popolo non cercò di calmare i bollenti spiriti delle femmine. Il numero degli abitanti, dopo gli sciami, si era ridotto alle giuste proporzioni; non v'erano tanti sudditi per due regine, e una di esse era di troppo.
La folla delle api formò dunque un circolo intorno alle due rivali, e aspettò che l'esito del duello indicasse quella che doveva regnare.
Le due femmine non tardarono a scagliarsi l'una contro l'altra con tal furia, che rimasero attaccate in modo che il capo, il corsaletto e il ventre dell'una era opposto al capo, al corsaletto, al ventre dell'altra. Se tutt'e due avessero piegato l'estremità posteriore del corpo, si sarebbero infilate col loro pungiglione contemporaneamente, e sarebbero morte entrambe.
Forse fu questa idea che le trattenne: fu forse il timore che la città rimanesse senza la madre, che arrestò a un tratto l'ira delle due rivali. Esse si ritrassero l'una dall'altra rapidamente, smarrite, cercando tutt'e due di fuggire.
Ma il popolo intorno incominciò a gridare, ad aizzarle, a spingerle finché una di esse, studiato il momento opportuno, si avventò sull'altra, riuscì a mettersela sotto, l'afferrò per la base dell'ala e nello stesso tempo la trafisse con l'aculeo.
Mentre la vittima si dibatteva nell'agonia, la vincitrice trasse il dardo fuori dal corpo della misera, e guardò alteramente intorno a sé, mentre le api s'inchinavano rinnovando il grido:
Le due formiche avevano assistito fremendo a questa scena di sangue, e Gigino non aveva potuto fare a meno di manifestare la sua disapprovazione, dicendo al suo aiutante:
- Duelli selvaggi! Non capisco come si possa per una questione di gelosia ammazzarsi a quel modo tra insetti della stessa specie. -
Forse Gigino non aveva tutti i torti: egli era vissuto tra gli uomini in un'età in cui non poteva ancora sapere come anche in quella società possa accadere che due persone della stessa specie vadano a infilzarsi la pancia per questioni molto più piccole di quelle che armano le api l'una contro l'altra, e spesso magari per una gomitata o per una pestata di piede.
In ogni modo lo spettacolo cui avevano assistito non era certo fatto apposta per rassicurare le due formiche.
Esse incominciavano a trovarsi a disagio in quella città. La vecchia Regina era partita; era partita Dolcina, partita l'ape dell'uva salamanna, partite quasi tutte le api che s'eran trovate all'invasione della Testa di Morto, e presso le quali Gigino e Grantanaglia avevano un titolo di riconoscenza da far valere.
Ora il popolo er cambiato, la società s'era rinnovata e, cessato il periodo di confusione e d'anarchia, durante il quale nessuno s'era accorto di loro, le nuove api avrebbero certo fatto alle due formiche un diluvio di domande di questo genere: - Chi siete? Che cosa fate qui? Con che diritto abitate una città che non è la vostra, e prendete parte alla vita di un popolo che non è il vostro? -
Poi c'era un altro dubbio terribile, che faceva fremere il povero imperatore Ciondolino.
- E se credendomi un nemico, mi imbalsamassero come han fatto alla Testa di Morto? -
L'idea di essere imbalsamato fece prendere a Gigino una grande risoluzione.
- Luogotenente, - disse egli a Grantanaglia - bisogna prepararsi allo sgombero.
- Come!
- Bisogna andarsene, se non vogliamo che questi nuovi cittadini ci impiastriccino tutti di cera e di gomma, e ci facciano diventare due mummie.
- Peccato! - esclamò l'aiutante di campo. - Si stava tanto bene. E chi ci darà il miele da qui in avanti? Quello ultimo fatto con l'uva salamanna era tanto buono!
- Il miele te lo darò io, e ti darò anche l'uva salamanna! - replicò Ciondolino con un atto di minaccia. - Spicciati, andiamo via. -
Grantanaglia lo seguì a malincuore.
Giunti sull'ingresso dell'arnia si fermarono un istante per dare un addio a quella bella e vasta città, che li aveva così cortesemente ospitati, e dove fin allora avevano trovato tanto amore, tanta quiete e tanto conforto.
Un ronzìo festoso partiva dall'interno dell'alveare, e Gigino s'accòrse che veniva verso l'uscita ballando e cantando una numerosa schiera di api, con la Regina alla testa.
Le due formiche si tirarono da una parte per lasciar passare.
La Regina fece un piccolo volo fuori dell'arnia e tornò quindi a posarsi sull'ingresso; poi se ne staccò daccapo per fare un volo un po' più lungo e tornò daccapo a posarsi; finalmente, dopo una terza prova, esclamò:
- Ora sono sicura di ritrovare la strada! Arrivederci, dunque! -
- Evviva la Regina! Evviva la sposa! -
Si trattava, infatti, delle nozze della giovane Regina. Nell'aria, in alto, in mezzo al profumo dei fiori ronzavano i maschi aspettando, ed ella andava a scegliersi uno sposo, col quale lanciare al cielo il grande inno alla vita.
Gigino fece un cenno al suo aiutante, esclamando:
- Per fianco destro... March! -
E tutt'e due incominciarono a discendere giù per quella vecchia quercia, che accoglieva nel suo seno robusto tante essenze, e un così maraviglioso tesoro di palpiti e speranze.