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XLI. Terza classe: compartimento per fumatori.
Ciondolino e il suo aiutante di campo viaggiavano già da un pezzo sulla manica di quell'uomo.
- Non so perché, - diceva Gigino - ma l'idea di trovarmi sulla manica mi dà l'illusione di fare un viaggio in Inghilterra! -
A un tratto il veicolo umano si fermò in un luogo assai spazioso, tutto contornato da alberi.
Gigino vide fra un albero e l'altro parecchie arnie artigianali, e capì subito che si trovava nei possedimenti di un ricco apicultore, che era molto amico del suo babbo e che abitava circa un miglio distante dalla sua villa, una breve distanza quand'era un bambino, una distanza enorme per una formica com'era ora.
L'uomo sul quale viaggiava si chinò, alzò il braccio e rovesciò con una mossa rapida la campana sopra un cono della stessa natura, in modo che venne a formare con essa un'arnia a cupola come tutte le altre.
Quindi si recò in una stanza lì vicina, prese degli stracci e tornato all'alveare accese un fiammifero e dètte fuoco ai cenci, agitandoli in modo che l'esterno dell'arnia rimanesse avvolto dal fumo.
- Vedi? - disse Gigino a Grantanaglia che starnutiva a più non posso. - Questa operazione è fatta perché le api rimaste attaccate al di fuori dell'alveare si risolvano a entrar dentro. -
Quindi, fatto un cenno al suo aiutante di campo, esclamò:
- Andiamocene! Questo è il momento di scendere. -
E, salita la manica, le due formiche si diressero verso le regioni posteriori della giacchetta.
Intanto l'uomo, che s'era levata la maschera dal volto, girava attorno agli altri alveari, riguardandoli con cura, quando improvvisamente, scoperchiandone uno, gridò:
- O Dio! mi scappa la Regina!... -
Immediatamente un esercito di api infuriate si precipitò su lui, attorniandolo tutto, e ronzandogli minacciosamente intorno alla faccia.
L'uomo, gridando a più non posso, si dette a una corsa sfrenata a traverso alla campagna, mentre le api inferocite lo seguivano sempre, punzecchiandolo da tutte le parti.
Finalmente, dopo un lungo tratto le api si stancarono di inseguirlo ed egli si arrestò spossato, si lasciò cadere sul ciglio di una fossa, e cavatosi la giacchetta, si asciugò con quella il viso insanguinato e la posò accanto a sé.
La cosa era avvenuta così rapidamente, lo scatto di quel disgraziato era stato così brusco e improvviso, che le due formiche, le quali si trovavano a metà della regione sinistra della giacchetta, sarebbero precipitate in terra sicuramente, se non avessero avuto la fortuna di cadere in tasca.
Ma fu una fortuna relativa, perché Gigino e Grantanaglia si trovarono in mezzo a un mucchio di cicche, per fuggire alle quali non v'era altro espediente che rifugiarsi dentro una pipa anche più puzzolente di quelle.
Quando la giacchetta si fu fermata, Gigino disse:
- Alla lesta! Usciamo di qui, se è possibile, altrimenti moriamo asfissiati. -
E le due formiche, venute finalmente fuori, si allontanarono in fretta lungo il ciglio della fossa, sulla quale il pover'uomo seguitava a urlare come un disperato.
- Ma si può sapere che cos'è successo? - domandò Grantanaglia, che era ancora ingrullito dalla sorpresa.
- È successo - disse Gigino - che nell'aprire un'arnia quello stupido ha lasciato fuggire la Regina: questa si sarà posata su lui e, naturalmente, tutte le altre l'hanno seguita e non hanno lasciato l'uomo finché essa non s'è staccata da lui. -
Il povero imperatore spodestato camminava lesto lesto, seguito dal suo aiutante di campo, come se avesse un punto determinato dove recarsi. Ma in verità camminava rapidamente nella speranza che il moto gli impedisse di pensare alla incertezza della sua situazione.
Anche la speranza di riavvicinarsi alle api sue amiche era perduta. Forse non erano molto lontane: ma come potevan fare le due povere formiche, mentre eran condannate nella tasca buia di una giacchetta, a conservare quel senso della direzione che è una delle più mirabili qualità della loro specie?
Esse andavano alla ventura, e Ciondolino avrebbe volentieri in quel momento regalato tutto quell'impero che non possedeva per sapere almeno dove avrebbe passata la notte, mentre Grantanaglia avrebbe regalato magari il suo titolo di conte degli Imenotteri per sapere dove avrebbe mangiato in quel giorno.
Così i nostri due viaggiatori camminavano da un pezzo, quando a un tratto il luogotenente, guardando Gigino, esclamò:
Ciondolino si tastò la testa: la corona, la sua bella corona imperiale, non c'era più.
Ahimé! Essa era rimasta nella tasca della giacchetta, tra la pipa e le cicche, miserevole esempio del come possano, a un dato momento, ridursi le più grandi onorificenze di questo mondo!
Questo fu per il nostro eroe il colpo di grazia.
Egli si fermò, preso da un invincibile senso di scoramento, e si lasciò andar giù in terra di schianto esclamando:
- Ah credi, caro luogotenente mio, è inutile andare innanzi! Dove si va? A quale scopo ci si ammazza a correre verso l'ignoto? Non è forse meglio aspettar qui la morte tutt'e due? -
E senza ascoltare Grantanaglia, che cercava di consolarlo, mormorò:
- Ah mamma mia, mia buona mammina! -
E siccome il pensiero della mamma gli portava sempre fortuna, alzando la testa vide a un tratto un grosso insetto che volava verso di lui, proprio un insetto che gli ricordava la sua casa, la sua famiglia, poiché era nato nella sua villa.
- Ah dunque sei proprio tu! - esclamò il Sirice Giovenco, quel bell'imenottero azzurro e lucido come l'acciaio, che allo stato di larva aveva aperto a Gigino un passaggio nella serratura della porta di casa sua.
- Sì, sono io. Oh se tu sapessi, caro Giovenco, quanto mi fa piacere di rivederti!
- Figurati a me! - disse l'insetto posandosi accanto alle due formiche. - Io non dimenticherò mai il servizio che mi rendesti, salvandomi dal pericolo d'essere schiacciato da quella femmina dell'uomo... Ma come mai sei qui?
- Eh! una serie di avventure mi ha ridotto a non avere neanche dove alloggiare.
- Oh, poveretto! -
Il Sirice pensò un po'; poi disse:
- Aspetta... Forse posso indicarti un alloggio dove, se le mie intuizioni non mi ingannano, potrai trovarti benissimo. La vedi quella querce là?
- Sì.
- Ebbene: ora, mentre ero lì sul suo tronco, ho sentito nell'interno un piccolo rumore, come se qualcuno grattasse il legno di dentro. Tu sai che io in queste cose ho una certa pratica. Se non sbaglio, dunque, si tratta di qualche insetto che ha superato l'ultima sua trasformazione e tenta di uscir fuori. Vuoi che andiamo a vedere?
- Figùrati! -
E avviandosi verso la querce, Gigino, dopo aver presentato Grantanaglia al Sirice, proseguì:
- Vedi, caro luogotenente, l'amico Giovenco mangia perfino il ferro... L'ho visto io! -
Ma Grantanaglia non si stupì come si aspettava il suo principale, e si contentò di dire:
- Lo credo!... -
Giunti alla querce, il Sirice vi salì su, seguìto dalle due formiche, e a un certo punto si fermò.
Infatti si sentiva del rumore nell'interno del tronco.
- Bisogna aspettare, - soggiunse il Sirice - ma vedrete che non sarà per molto tempo. L'amico, dentro, lavora a tutt'andare... -
Infatti, poco dopo, nel tronco della quercia, proprio dinanzi a Gigino, si aprì un bucolino e apparve una testina vispa vispa, che movendosi da tutte le parti con una vivacità straordinaria, manifestava una grande gioia e un grande stupore.
Si udì un dolce ronzìo che diceva:
- Finalmente ti respiro, aria benedetta! -
Dal buco vennero fuori due zampettine che si puntellarono sull'orlo, e su su apparve un bell'insetto alato di un magnifico color viola con vivi riflessi metallici.
- Un'ape! - gridò Gigino. E avrebbe voluto subito farle un diluvio di domande; ma l'insetto stese le ali al sole con voluttà, stirò le gambe, scrollò la testa e, fatta una bella riverenza, volò via esclamando:
- E ha ragione! - disse il Sirice accostandosi a Gigino che, a quella fuga improvvisa, era rimasto un po' male. - Credi, amico mio, per un essere che è stato tanto tempo rinchiuso al buio allo stato di larva vivendo di una sola speranza, lavorando a un solo scopo, quello di arrivare finalmente allo stato perfetto, di uscire all'aria, di poter dire finalmente: ora sono un insetto, è un momento troppo importante per trattenersi a chiacchierare coi curiosi. Te lo dico io, che l'ho provato!
E siccome non aveva potuto ancora mandar giù l'indifferenza con la quale Grantanaglia aveva accolta la notizia delle meravigliose qualità roditrici del suo amico Sirice, stimò opportuno di ripeterla, e disse rivolto al suo aiutante di campo:
- Capisci? Questo signore, per venir fuori dalla galleria dove era rinchiuso, ha roso perfino il ferro.
- Ma se ho capito... - rispose Grantanaglia di pessimo umore. - Che credi che sia sordo? D'altra parte, il fare queste bravure dipende dal momento in cui uno si trova.
- Come!
- Sicuro. Io, per esempio, in questo momento non solo roderei il ferro... ma lo mangerei! -
Gigino lo guardò severamente e gliene avrebbe dette quattro, se in quel momento dal bucolino della quercia non fosse apparsa un'altra testina simile in tutto e per tutto alla prima.
L'ape, con un dolce ronzìo esclamò:
- Finalmente ti vedo, luce benedetta! -
E come la prima, allungate le ali, fece una riverenza e volò per aria, senza che Gigino avesse il tempo di dirle una parola.
A questo punto egli, perduta la pazienza, disse con accento aspro:
E si accostò al bucolino. Ma rimase sospeso perché dall'interno udì ancora il rumore di qualcuno che grattava furiosamente.
Tant'è vero che, poco dopo, un'altra testina d'ape apparve fuori esclamando:
- Finalmente!...
- Finalmente voglio sapere qualcosa! - interruppe Gigino agguantandola. - È ora di finirla con questi finalmente! Chi sei? Di dove vieni? Dove vai? Che cosa hai fatto? Che cosa farai? E ti avverto che se non rispondi, non andrai in nessun luogo e non farai nulla... a meno che tu non sia abituata a andar nei posti e a far le cose senza testa! -