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XLIII. Gigino trova tra gli insetti anche la geometria.
Dopo tante avventurose vicende, finalmente il nostro eroe godeva un po' di pace e, a parte i suoi sogni di gloria, incominciava a trovare abbastanza bella la vita nella sua nuova residenza d'imperatore spodestato.
Girando nei dintorni col suo aiutante di campo, aveva trovato sul fusto di un rosaio sei magnifici gorgoglioni, che avevano acconsentito ad abitare con le due formiche e a lasciarsi mungere da loro, mentre esse s'erano impegnate di provvederli di arbusti verdi necessari al loro nutrimento.
- Con queste sei vacche - aveva detto Gigino - non c'è più pericolo di morir di fame. -
Inoltre nelle sue frequenti passeggiate aveva avuto occasione di far conoscenza con parecchie api, che capitavano verso quelle parti, e delle quali gli aveva parlato l'amico Sirice, che veniva spesso a trovarlo e s'intratteneva volentieri con lui sul tronco della quercia.
Aveva stretto amicizia con alcune piccole api minatrici, abilissime scavatrici di gallerie nel suolo, e con alcune api lanaiole che tolgono da certe piante il rivestimento lanoso col quale provvedono il loro nido. E aveva stretto anche un patto di alleanza con alcune api megachile, le quali fanno i loro nidi nei tronchi d'albero e li foderano con foglie di rose, di papaveri selvatici e di faggio bianco, che esse hanno l'abilità di tagliare così nettamente come noi non si saprebbe fare con un paio di forbici, e che accartocciano e adattano con precisione ammirevole nelle loro gallerie; come pure s'era alleato con alcune api tappezziere, le quali scavano il loro nido composto di un solo alveolo nella terra e lo ricoprono tutto coi petali dei fiori. Anzi, di queste molte sue amicizie Gigino s'era giovato per trasformato la sua modesta casa in un palazzo addirittura sontuoso.
Egli s'era fatto ricoprire appunto dalle api megachile una stanza tutta di foglie di rose in modo che, quando queste furono secche, pareva poco meno che una sala foderata di cuoio di Russia; s'era fatto ornare la sua camera dalle api tappezziere tutta di pétali dei fiori più odorosi, e dalle sue amiche api lanaiole s'era fatto fare una magnifica materassa, degna in tutto e per tutto d'accogliere i suoi gloriosi sogni imperiali.
Né questi gli impedirono, bisogna dir la verità, di pensare alle cose più necessarie, come quella, per esempio, di applicare una porta all'ingresso della sua casa, perché non vi entrassero forestieri importuni e pericolosi.
Infatti terminati i lavori nell'interno dell'abitazione, egli, aiutato dal suo luogotenente, dopo mille prove e con sforzi inauditi, era riuscito a trarre fin sul tronco della quercia un durissimo seme di cocomero, che aveva incastrato nell'ingresso della sua casa in modo ingegnosissimo.
Così il seme, ficcato giù per il lungo in modo da rimanere metà dentro e metà fuori, divideva il buco in due parti, tanto che Gigino poté aver un ingresso per sé e uno di servizio per il suo aiutante di campo. Quando poi voleva chiudere dall'interno, bastava che spingesse di dentro il seme da destra a sinistra o viceversa, facendolo girare su sé stesso, e tutt'e due gli ingressi rimanevano tappati.
Questo sistema di chiusura fu anzi molto ammirato dalle api amiche di Ciondolino e dal Sirice, che nella piena del suo entusiasmo gli disse:
- Ma tu sei un genio!
- Lo so, - gli sussurrò Gigino prendendolo a braccetto. E siccome quella parola gli aveva risvegliato tutto un mondo di disegni ambiziosi messi a dormire, incominciò a narrare al suo amico le sue antiche avventure nel formicaio e gli confidò le sue idee intorno a un nuovo ordinamento sociale degli insetti, che rispondesse meglio al progresso dei tempi.
Il Sirice che era un insetto robusto di costituzione ma non molto forte di cervello, non tardò a sentirsi vinto dalla calda perorazione di Gigino, che conosceva l'arte di chiacchierare più d'un avvocato, e finì col gridare:
- Con una testa come la tua, ci devi riuscire dicerto!
- E io - rispose Gigino con riconoscenza - ti eleggo duca fin da questo momento. -
Da quel momento l'imperatore Ciondolino, il duca Sirice e il conte Grantanaglia non fecero altro che far dei magnifici castelli in aria, adunandosi ogni giorno e terminando le loro discussioni sempre con un voto di plauso all'audace iniziativa del nostro eroe.
Più volte Gigino, da che aveva ritrovato il Sirice, era stato in procinto di domandargli dei ragguagli intorno alla situazione della sua villa, tanto più che il suo amico vi era nato e aveva ali abbastanza forti per andare a ricercarla. Ma non gliene parlò mai.
Ripensandoci, il modo col quale egli ne era stato trascinato via gli pareva come un arcano avvenimento che gli dimostrasse non esser giunta ancora l'ora di ritornare là dove era vissuto sotto altre forme, ed egli tirava avanti rassegnato, nella speranza che un giorno o l'altro quell'ora sarebbe venuta, e che gli sarebbe stata in qualche modo annunziata.
Una bella mattina stava appunto pensando a questo, seduto sulla metà del seme di cocomero sporgente in fuori dall'ingresso di casa, quando a un tratto vide dinanzi a sé scintillare al sole un bel filo d'argento che veniva giù da un ramo superiore della quercia.
In fondo a quel filo stava attaccato un bruco sottile, elegante, che scendeva piano piano mentre via via il filo che gli usciva dalla bocca diventava più lungo.
Gigino da principio rimase maravigliato e ammirato di quell'abilità ma poi, siccome il filo non era molto distante dalla punta del seme di cocomero, gli venne una gran voglia di spenzolarsi in fuori e di provare a strapparlo per aver il gusto di vedere il povero bruco battere un bel picchio in terra.
E s'era già mosso, quando un ricordo della sua vita di bambino lo fermò a un tratto e lo commosse tutto.
Si rammentò che un giorno, avendo sorpreso la vecchia madre del contadino che stava a filare tranquillamente davanti al cammino di cucina, s'era avvicinato dietro a lei, piano piano, con un paio di forbici, e le aveva tagliato il filo facendole cadere il fuso in terra e mettendole addosso una gran paura.
Poi, dopo essersi divertito un pezzo della confusione di quella povera vecchia, era corso dalla mamma e le aveva raccontato, tutto contento, la prodezza che aveva fatto.
Non l'avesse mai detto!
La sua mamma dapprima gli dètte una bella lezione proprio in quel posto da dove gli veniva sempre fuori la punta della camicia. Poi, quand'egli ebbe finito di piangere, che ci volle un'ora perché smettesse, la mamma se lo prese sulle ginocchia, si mise a parlargli con quella sua voce dolce e a carezzarlo con quella sua mano morbida e bianca bianca e a guardarlo con quei suoi occhi pieni d'amore: e gli disse tante cose buone, e gliele disse bene come le sapeva dir lei, con quelle paroline tenere che andavano proprio dentro l'anima, tanto che da ultimo Gigino s'era messo a piangere daccapo, ma in un'altra maniera, perché non era più la stizza della punizione avuta ma era il pentimento sincero e il profondo convincimento d'aver fatto un'azione cattiva.
- Dar noia alla gente che non dà noia è sempre una colpa; - gli aveva detto la mamma - ma infastidire la gente che lavora e divertirsi a mandarne a male le fatiche è assolutamente un delitto, e tu che hai l'animo buono, non puoi averlo commesso che per leggerezza. Ora che tu capisci il male che hai fatto, bada di non farlo più, e ricordati che ogni persona che lavora dev'essere sacra... specialmente poi per chi non fa nulla come te! -
E Gigino ora se n'era ricordato a tempo.
Anzi, rimessosi a sedere sul seme di cocomero, con tutto il pensiero rivolto alla mamma, seguiva con l'occhio l'agile bruco che continuava nella sua discesa, e sentiva una grande simpatia per quell'industrioso animalino che, senza saperlo, gli aveva risvegliato tanto dolci e cari ricordi.
A un tratto il bruco si arrestò.
Egli si volse in aria, guardò la foglia di quercia ov'era attaccato il filo che lo sosteneva, e incominciò a risalire.
Gigino notò che per risalire adoperava un modo ingegnosissimo.
Tenendo il filo tra i denti e piegando il capo, tirava su il resto del corpo, finché con l'ultimo paio di gambe non fosse riuscito ad afferrare un punto del filo più in alto del capo: allora tenendosi fermo con quelle, raddrizzava la testa e acchiappava il filo coi denti ancora più in su, facendo così un passo e buttando via il filo rimasto al di sotto e ormai diventato inutile.
Quando arrivò a passare dinanzi a Gigino, questi non poté fare a meno di domandargli:
- Ma si può sapere che cosa fai?
- Eh! mi son salvato da un nemico che era venuto a minacciarmi lassù sulla mia foglia.
- E chi sei?
- Sono un geometra. -
E il bruco continuò la sua salita.
- Un geometra! - esclamò Gigino - questo poi colma la misura. Io divento un insetto per liberarmi dalle noie della scuola, ed ecco che tra gli insetti ci trovo perfino la geometria! –