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III. Quali dolcezze e quali amarezze trovi un bambino svogliato rinascendo formica.
Quanto rimase Gigino in quello stato di assopimento?
Egli non l'avrebbe saputo dire: ma, certo, ci rimase poco tempo, se si pensa alle grandi trasformazioni che erano avvenute in lui.
Quando egli riprese completamente la conoscenza, provò una impressione curiosissima.
Gli pareva come se qualcuno, avendolo sbagliato per un pezzetto di cartone, gli avesse dipanato tutt'intorno una matassa di filo, chiudendolo dentro un gomitolo dal quale tentava invano di uscire.
Fortunatamente si accorse che al di fuori c'era chi lo aiutava a levarsi dall'impaccio, allargando con cura i fili che lo avviluppavano.
Finalmente poté metter fuori la testa, poi le braccia.
- Coraggio, via! - gli disse a un tratto una voce. - Tira su! -
Egli fece uno sforzo e, venuto fuori con tutto il corpo, si sentì come accarezzare da ogni parte, e si accòrse che qualcuno lo leccava a tutt'andare.
- O ora? - esclamò sorpreso. - Che lavoro è egli codesto?
- Come! con la lingua? O che siamo diventati gatti? Ma si può sapere che cosa sono io? E lei chi è? E tutt'e due dove siamo? -
- Calma, calma, per carità. Tu hai ora delle grandi curiosità da appagare; ma uscito appena dal bozzolo non hai l'intelligenza abbastanza lucida per comprendere le cose e per ordinare le tue domande. Aspetta, abbi pazienza; e quando sarà il momento, tutto ti verrà spiegato. -
Gigino a quel discorso fatto con calma e con un sincero accento di bontà, rimandò giù per la gola quel diluvio di domande che gli eran venute alla bocca e rimase zitto.
Ma durante questo silenzio, via via che la sua intelligenza si risvegliava, ebbe campo di ordinare le sue idee, di rendersi conto a un bel circa del suo stato presente (poiché la maravigliosa trasformazione non gli aveva tolto la memoria) di ricordarsi anche nettamente le vicende passate.
Prima di tutto, - e su questo non cadeva dubbio - o era cieco o si trovava al buio.
Eppure egli, sebbene non vedesse nulla, incominciava a sentire che cos'era e dov'era.
Il paragone di un cieco-nato, che alla mancanza del senso della vista supplisce con la squisitezza degli altri sensi, non basta per dare un'idea di quello che provava Gigino.
Egli per esempio, aveva l'impressione di trovarsi in una stanza sotterranea senza che per questo avesse bisogno di toccarne le pareti. Capiva che c'era intorno a lui un grande lavorìo di esseri affaccendati, senza bisogno per questo di vederli.
V'era in lui qualche senso nuovo, o almeno qualche senso aveva acquistato una delicatezza così straordinaria, da presentare alla sua mente la natura e la forma delle cose come se ei le vedesse con gli occhi.
Così non tardò a rispondere da sé all'ultima domanda fatta. Egli era una formica, quella che gli stava davanti era un'altra formica, e tutt'e due stavano in una casa di formiche.
Questo quanto al presente.
Quanto al passato non capiva, quantunque ne avesse un'idea confusa, per quali strani passaggi era arrivato a questa trasformazione; ma si ricordava di quel signore curioso con gli occhiali e la palandra verdognola, capitato all'improvviso proprio nel momento in cui egli diceva:
- Piuttosto che studiare la grammatica latina, vorrei essere un formicolino. -
A questo punto gli venivano spontanee due domande:
Uhm!... Forse, mentre egli entrava nella famiglia formicolesca, essi non erano più che un grillo e una farfalla!
E la mamma? Povera mamma! Ella era, dunque, rimasta sola.
A questo pensiero Gigino provò una grande emozione. Poi a poco a poco, si calmò.
Ormai era fatta: egli per non aver punta voglia di studiare, s'era ridotto a desiderare di diventare quello che era diventato, e a questo non c'era rimedio.
"Chi è causa del suo mal pianga sé stesso" dice il proverbio.
Le riflessioni di Gigino furono chiuse da una considerazione abbastanza sensata:
- Io - disse fra sé - sono ora una formicola, e mi sta bene. Ma sento che sono ancora Gigino, perché se non fosse così, non potrei avere nella mia mente di formicola tutti questi ricordi. Dunque son superiore a questi insetti, e così potrò fare quel che mi pare e piace. -
La formica che gli stava davanti, riprese la parola:
- Tu devi aver fame senza dubbio.
- Eh! Non c'è male, - rispose Gigino che sentiva, infatti, un certo appetito.
- Prendi dunque, - replicò la formica mettendogli innanzi alla bocca un pezzettino di roba di un sapore dolcissimo.
- Che rob'è?
- È sciroppo di Gorgoglione.
- Non so che cosa sia, ma è eccellente, - soggiunse Gigino, leccandosi le labbra.
Intanto, mangiando, aveva fatto un'altra osservazione.
La sua bocca era una bocca curiosissima.
Essa era formata di due grandi e forti mandibole, fatte come le due morse d'una tanaglia, con gli orli smerlati a sega.
Ma non erano queste che aveva adoperato per mangiare.
Egli aveva sentito il cibo con le mascelle inferiori poste al disopra delle mandibole, una specie di labbra nelle quali era evidentemente riposto il senso del gusto, e con le quali aveva lambito lo squisito sciroppo.
- Perdoni se son curioso, - disse alla formica che gli stava dinanzi - ma se noi formicole non mangiamo che di questa roba morbida e umida, che cosa mastichiamo con questo paio di tanaglie?
- Niente. Esse non servono per masticare.
- No? O allora che ce ne facciamo?
- Le mandibole le adoperiamo per difenderci e per lavorare.
- Per lavorare?
- Precisamente; e questo lo vedrai con l'esperienza. -
Gigino non poté fare a meno di storcere quella bocca ch'egli credeva fatta solamente per mangiare.
La formica gli si avvicinò amorosamente e ricominciò a leccarlo.
- Ah! ah!... - gridò Gigino a un tratto, ridendo. - La scusi sa, ma a far così la mi fa il pizzicorino. -
La buona formica rise anche lei e soggiunse:
- È naturale. Io ti ho toccato nella parte più sensibile del tuo corpo. Ti ho toccato nelle antenne.
- Nelle antenne? O che son diventato un bastimento? - disse Gigino maravigliato.
- Le antenne sono queste che hai in mezzo alla testa: senti. -
La formica gli toccò infatti due organi, ai quali Gigino non aveva posto fino allora attenzione.
Egli si scosse, ed esclamò un po' sconcertato:
- Ma queste a casa mia si chiamano corna!
- Chiamale come tu vuoi, benché sieno tutt'altro che di materia cornea, perché sono invece di una delicatezza straordinaria. Il solletico che hai sentito ti provi che sono organi di tatto sensibilissimi. Guai se non avessimo le antenne! Esse ci servono per riconoscere le vie percorse, per farci i segnali, per evitare gli ostacoli.
- Eh! quante cose!
- E non basta. Nei pori che abbiamo all'estremità delle antenne è riposto l'odorato.
- Curiosa! - mormorò Gigino - non mi sarei mai immaginato che il naso mi andasse a finire in cima alle corna!
- E di più, abbiamo nelle antenne anche l'udito. -
Qui Gigino, all'idea di avere gli orecchi così lunghi, rimase un po' mortificato.
- Senza questi organi - continuò la formica - dove risiedono i sensi più necessari, come potremmo fare a viver qui all'oscuro? -
Gigino a queste notizie, si spiegò perfettamente come egli senza veder nulla, fosse riuscito con l'aiuto di un odorato finissimo e di un delicatissimo udito a raccapezzare dove si trovava.
- Di una cosa sola mi dispiace - disse con accento malinconico.
- E di che?
- Di non avere gli occhi. -
La formica a quest'uscita fece una risata, e lo accarezzò con benevolenza.
Gigino per la prima volta pensò che egli non aveva ancora detto una parola per ringraziarla della bontà che gli aveva dimostrato, e disse un po' confuso:
- Scuserà, cara signora... come si chiama lei?
- Fusca.
- Scuserà, cara signora Fusca se ancora non ho avuto il pensiero di dirle neanche grazie; ma lei mi ha detto tante cose strane, che non ho più il cervello a posto.
- Ti pare! Io ho fatto il mio dovere.
- Il suo dovere?
- Sicuro: ho fatto ciò che anche tu dovrai fare alle formiche che nasceranno dopo di te.
- Questa poi, se lei non ha la gentilezza di spiegarsi, non la capisco...
- È una cosa un po' complicata, ma tutto ti apparirà chiaro quando assisterai alla lezione. -
A questa parola Gigino fece un salto indietro con tutt'e sei le gambe che ora possedeva, e avrebbe voluto magari averne una dozzina, per farlo più grande.
Come! Egli per sfuggire alle lezioni si era adattato a diventare una formica e, dopo questo, si trovava daccapo a sentir parlare di lezioni?
Ma era un tradimento!
- Perdoni.... scusi tanto; - disse Gigino con voce tremante - ma io devo avere inteso male. Che cos'ha detto?
- Ho detto che domani vi sarà la lezione, cioè la spiegazione di molti problemi che una formica deve saper risolvere con le proprie nozioni. -
Gigino restò come una formica pietrificata.
Lezione! Spiegazioni! Problemi! Nozioni.... Sicuro: anche le nozioni!
- Scusi se sono indiscreto; - disse Gigino con rabbia riconcentrata - ma non ci sarebbe, per caso, anche la grammatica latina? -
La formica non capì, e si allontanò per dire qualche parola ad alcune compagne che stavano in conciliabolo poco lontano.
Allora Gigino si sentì come un nodo alla gola, e fu lì per lì per mettersi a piangere.
Ma poi pensò che tanto era inutile, perché non aveva occhi; e rimontato sul bozzolo vuoto, si mise a sonarci sopra il tamburino con le due gambe davanti.