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Poco dopo la formica tornò a lui dicendogli:
- Scendi, e vieni con me. -
Gigino scese dal bozzolo e constatò per la prima volta che poteva reggersi anche sulle due sole gambe di dietro.
Probabilmente in lui che era stato un bambino, gli eran rimaste, oltre la memoria e l'intelligenza, parecchie altre facoltà dell'uomo, ciò che valse a consolarlo di molte amarezze.
Egli seguì la formica, la quale lo condusse a traverso a vari corridoi, finché a un certo punto Gigino dette un grido di meraviglia e di gioia.
Egli non era cieco, no! Aveva gli occhi, ci vedeva... e come ci vedeva!
Era arrivato, con la formica, in una vasta sala, nella quale da un'apertura superiore filtrava un debole raggio di luce, e che doveva essere certamente la stanza d'ingresso della casa delle formiche.
Ma ciò che colpiva di più Gigino non era quello che vedeva: era il modo col quale vedeva.
Il suo sguardo era uno sguardo nuovo per lui; uno sguardo grande grande, col quale, senza bisogno di muovere né gli occhi né la testa, vedeva confusamente nello stesso tempo tutto ciò che gli era dinanzi, dalle parti, per aria, dovunque.
Egli si trovava in una specie di grotta sostenuta da varie colonne, molto pulita, con le pareti assai lisce e abbastanza regolari: alla sua destra e alla sua sinistra parecchie formiche parevano affaccendate in un lavoro di grande importanza; dinanzi a lui una formica lo guardava con benevolenza e quasi sorridendo, come se avesse preveduto la sua maraviglia.
Gigino vide tutto questo contemporaneamente.
- Che cos'hai? - gli domandò la formica, sempre sorridendo.
- Ho gli occhi! - disse Gigino - E questo mi fa molto piacere. Ma io vorrei sapere come mai senza girarli e senza bisogno di voltar la testa posso vedere ogni cosa intorno a me, in punti così diversi.
- Prima di tutto devi sapere - rispose la formica - che gli occhi non si girano per niente. -
Gigino riscontrò che era vero.
- Da ciò dunque - continuò la formica - deriva la necessità di avere gli occhi conformati in modo di potere abbracciare una larga visuale; e la natura previdente, che concede a tutti gli esseri gli organi adatti alla loro condizione, ha dato a noi formiche due occhi composti.
- Come sarebbe a dire?
- Sarebbe a dire che i due occhi che abbiamo ai lati della testa, sono formati di tante faccettine esagonali convesse, le quali non sono che tante lenti, ossia tanti piccoli occhi completi, che guardano in tutte le direzioni. -
Gigino si avvicinò con curiosità alla sua interlocutrice, e le guardò gli occhi che erano infatti tutti sfaccettati.
- Diiio!... - gridò maravigliato - quanti sono!
- Anzi - riprese la formica - noi non ne abbiamo molti. I nostri due occhi composti sono formati da poche faccette, le quali spesso sono meno di cento.
- E le par poco? - interruppe Gigino stupefatto.
- In confronto agli occhi di molti insetti, specialmente di quelli che vivono nell'aria, è un'inezia. Le mosche, per esempio, hanno gli occhi composti di quattromila faccette.
- Quattromila?
- Sì. E le libellule ne hanno più di dodicimila. -
Gigino stava per fare un gesto di suprema maraviglia, ma la formica lo scombussolò addirittura concludendo:
- E la Mordella ha gli occhi formati da più di venticinquemila piccoli occhi. Che ne dici?
- Dico - rispose Gigino - che se per disgrazia codesta signora ci vedesse poco, non basterebbero tutti gli occhiali del mondo per rimetterle la vista. -
Ma pensò subito che la formica non poteva capire questa sua osservazione poco formicolesca, e riprese:
- O io, scusi, quanti occhi ho?
- Aspetta, li conto.... Ecco; i tuoi due occhi composti hanno sessanta faccette per uno.
- Sicché posso dire d'avere centoventi occhi?
- Sicuro, senza contare gli occhi semplici.
- Come? Ho degli altri occhi? O non bastavano centoventi?
- No. Con i due occhi composti vediamo tutto ciò che è dintorno a noi, ma non si potrebbero distinguere nettamente gli oggetti vicini. Per questo abbiamo gli occhi semplici, e sono appunto quelli coi quali tu mi guardi. -
Gigino osservò la formica, e vide infatti, che al vertice della testa, disposti a triangolo, aveva tre occhiettini lisci, tondi, di uno splendore quasi di madreperla.
- Fatta la somma - disse Gigino io verrei ad avere centoventitré occhi.
- Precisamente.
- Allora, scusi sa, ma avrei bisogno di cinque minuti di riposo per poter digerire questa notizia. Che vuole? Il trovarmi tutti questi occhi, per me che credevo di non averne punti, è una cosa che mi mette proprio in pensiero. -
- Centoventitré occhi! Nespole del Giappone! E pensare che se ritornassi bambino mi toccherebbe a studiare con tutti i centoventitré!.... Mi sento rabbrividire solamente a pensarci. -
A un tratto un grido echeggiò nella stanza:
Era entrata nella vasta sala una formica con le ali, che camminava un po' arrembata, ed era seguita da cinque o sei altre formiche senza ali, le quali, a prima vista, pareva che la spingessero in avanti.
Ma avvicinatosi, Gigino poté vedere distintamente che la formica con le ali, camminando, lasciava dietro di sé certe pallottoline un po' ovali, e notò che le formiche le raccattavano e se le mettevano in bocca.
- Che cosa vedi? - domandò la formica a Gigino, il quale era rimasto addirittura scandalizzato.
- Uhm! Io, a dir la verità, vedo di grandi porcherie!
- Tu dici così - osservò la formica - perché non sai di che si tratta. Quella formica con le ali che credi faccia chi sa che cosa, è una femmina la quale è venuta qui nel suo formicaio a far le uova.
- O tutte quelle altre che cosa fanno?
- Le raccolgono, le inumidiscono con la lingua per farle crescere e le recano al luogo loro assegnato.
- Pensare.... - esclamò Gigino ricordandosi di quel terribile momento in cui s'era sentito scemare a poco a poco - pensare che io sono stato in un uovo a quella maniera!
- Sicuro. Il tuo uovo fu trovato fuori del nostro formicaio, e fu portato fin qui da due formiche.
- E io che le presi per due becchini! - pensò Gigino.
Ma si guardò bene dal raccontare la sua storia, parendogli che non gli mettesse conto.
- Perché tu abbia un'idea delle cure che ti sono state usate, vieni con me. -
E la buona formica lo condusse a un lato della stanza, dove erano ammucchiate centinaia d'uova che parevano tanti chicchi di grano di colore bianchiccio e poco lucido.
- Come tutti gli insetti, meno rare eccezioni - riprese la formica - anche noi passiamo per quattro stati.
- Come dire?
- Guarda: il primo nostro stato è l'uovo. Quest'uovo dopo qualche giorno cresce, si ricurva all'estremità, diventa più trasparente e si muta in larva.
- Lo dicevo io, che c'era anche il latino! - borbottò Gigino, il quale si ricordava, per miracolo, che larva è una parola latina la quale significa maschera.
- Uhm! si vede che per le formiche il carnevale viene di luglio. -