Vamba
Ciondolino
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PRIMO VOLUME

VIII. Il trasporto del serpente.

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VIII. Il trasporto del serpente.

 

All'ingresso del formicaio Fusca si fermò e disse:

- La distanza di qui al luogo dove è il lombrico è di centoventi volte la lunghezza del nostro corpo. -

Gigino la guardò stupefatto. Egli comprendeva ora la ragione per la quale ella aveva camminato a passi misurati.

- Tenendo conto della profondità alla quale scenderemo, - proseguì Fusca - non sarà difficile trovar la direzione giusta. All'opera dunque. -

Le formiche scesero giù in casa, e arrivate a un certo punto, Fusca disse:

- Bisogna cominciare a scavare di qui. -

E rivolgendosi a tre o quattro formiche, che stavano più indietro, aggiunse:

- Mentre noi scaveremo, voi penserete a trasportare la terra scavata fuori di casa. -

Gigino incominciava a capire.

- E voialtre - disse - sperate di arrivare al punto preciso?

- Certamente, - risposero le formiche in coro.

Gigino non poté fare a meno di esclamare:

- Sbaglierò, ma mi pare che abbiate perso il cervello tutte quante! -

Egli si ricordava di alcuni discorsi che, quand'era un bambino, aveva sentito far allo zio Tommaso a proposito delle difficoltà di scavare le gallerie. Si ricordava della gran festa fatta dagli operai, che lavoravano da due parti opposte al traforo del Cenisio, il giorno in cui, dopo tante fatiche e tante ansie, s'incontrarono sotto terra e poterono constatare che i calcoli degli ingegneri erano stati giusti.

- Figuriamoci - diceva fra sé - se questo è un lavoro da formicole!

- Su, su; - gli disse la sua nutrice, vedendo che stava a pensare - aiuta anche tu. Se tutte le volte che si ha da fare una cosa difficile ci si mettesse a rifletterci sopra senza mai incominciare a farla, non si farebbe mai nulla. -

Il lavoro fu lungo e faticoso; erano già, secondo un calcolo approssimativo di Gigino, quattro o cinque ore che le formiche scavavano, e ancora non s'era a niente.

A un certo punto disse alla nutrice, sempre con la sua aria canzonatoria:

- Sor ingegnere illustrissimo, che mi permetterebbe un'osservazione?

- Di' pure.

- Io credo che questa galleria invece di andare verso la superficie della terra, si interni sempre più. Noi facciamo un buco nel mondo!

- E allora? - rispose sorridendo la formica.

- E allora fra un migliaio di migliaia d'anni, se Dio ci vita, sbucheremo in America! -

Ma i fatti non potevano smentire in modo più solenne e più sollecito le parole di Gigino.

Le formiche incominciarono a scavare più piano. Esse sentivano che oramai non rimaneva da abbattere che un leggiero strato di terra.

A un tratto con l'ultimo colpo di mandibole dato dalla ingegnosa formica che aveva diretto il lavoro, un raggio di luce penetrò nella galleria, e tutte balzarono fuori gridando:

- Evviva! -

Il lombrico attorniato dalle sue dieci guardiane era , distante dal buco appena un passo di formica.

Gigino rimase con le mandibole e le mascelle spalancate dalla sorpresa.

Egli era stato testimone, appena uscito dal bozzolo, del come le formiche sieno vigili massaie e affettuose nutrici: scavando la terra aveva veduto come esse sieno forti e coraggiosi minatori: ora poi aveva la prova più evidente del come esse sieno esperti e audaci ingegneri.

Non sapeva se più dovesse ammirare l'ingegnosità dell'idea o la precisione con la quale era stata eseguita.

- Mi rallegro con lei... - disse rivolto alla sua nutrice - non l'avrei mai creduta capace di tanto. -

- Certe volte - rispose la buona formica come se avesse letto nella mente di Gigino, - questa sfiducia nelle opere altrui proviene da un po' di superbia, e succede che, non sentendosi capaci di una cosa, si crede che non possano esserne capaci neppure gli altri. -

Gigino, alzata una delle gambe davanti, si dette una grattatina di testa.

- Via, via... - riprese la formica, col suo accento bonario - non dubitare neppure di te. Tu sei giovane ora, ma fra tre o quattro giorni al massimo avrai la forza, l'intelligenza e l'esperienza che abbiamo noi, e sarai una formica degna in tutto e per tutto della nostra famiglia. -

Intanto il sole era già al tramonto, e le formiche si affrettarono a incominciare il trasporto del lombrico, che in un batter d'occhio fu trascinato dentro la galleria.

Alcune rimasero all'ingresso, e Gigino vide che barricavano l'apertura con fuscelli, fili di paglia, pezzetti di foglie e granelli di terra.

Esse chiudevano prudentemente la porta di casa per evitare il pericolo di qualche sorpresa notturna.

Il terribile serpente fu, dunque, deposto in una stanza; e vedendolo lungo disteso, Gigino ricordandosi di qualche componimento che aveva fatto quand'era bambino sulla previdenza delle formiche, e della favola "La cicala e la formica" del La Fontaine, che aveva letto in un bel libro pieno di figurine, esclamò:

- Ecco una buona provvista per quest'inverno!

- Per quest'inverno? - domandò la sua nutrice stupefatta.

- Sicuro... - riprese Gigino dandosi una cert'aria d'importanza. - Che crede lei che io non sappia come le formicole lavorino l'estate per provvedersi il mangiare per l'inverno, quando sono costrette dal freddo a star rinchiuse in casa? -

La formica si messe a ridere a più non posso.

- Ma che cosa dici? Noi nell'inverno non si mangia.

- Non si mangia?

- No davvero. L'inverno si dorme.

- Si dorme?

- Sicuramente.

- Tutto l'inverno?

- Tutto l'inverno.

- E si fa tutto un sonno?

- Tutto un sonno. -

Gigino non poté fare a meno di pensare a quante bestialità dicono gli uomini, quando vogliono scrivere sulle bestie senza conoscerle; poi soggiunse:

- E ora non andiamo a dormire?

- Niente affatto. La notte si lavora dentro casa.

- Troppo lavoro, - brontolò Gigino. - Ma in fondo, questa di serbare il sonno tutto insieme per l'inverno è una cosa che mi piace. Non fosse altro, non c'è la seccatura d'andare a letto la sera per poi alzarsi la mattina, per poi la sera riandare a letto e la mattina dopo rialzarsi daccapo..., una tiritèra uggiosa che non finisce mai! -

 

 

 


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