Vamba
Ciondolino
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PRIMO VOLUME

X. Le mucche delle formiche.

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X. Le mucche delle formiche.

 

Scendendo nel formicaio, Fusca fece visitare a Gigino gli angoli più riposti dell'edifizio.

Esso era formato da una infinità di vaste stanze che comunicavano l'una con l'altra per mezzo di corridoi e di gallerie, e che conducevano tutte a una stanza più vasta delle altre, situata nel centro del fabbricato, dove le formiche si trovavano riunite nelle ore di riposo, quando il caldo era più intenso.

Egli tastando con le sensibili antenne quelle larghe vòlte sostenute da solidi colonnati, consideravano l'esattezza di quel lavoro immenso e la giusta e ingegnosa disposizione di tutte le sue parti, non poté a meno di esclamare:

- Ma le formiche, oltre all'essere buone nutrici, forti minatori, ed eccellenti ingegneri, sono anche insigni architetti!

- Sarebbe - rispose Fusca - una falsa modestia il negarlo. Noi tutte abbiamo una passione speciale per l'architettura, ma non abbiamo, come le api, uno stile eguale. Noi lavoriamo, ognuna per conto proprio, secondo il nostro capriccio, e riusciamo perciò a creare edifizi che hanno il pregio della varietà e l'impronta di molte ispirazioni individuali.

- Sicché - disse Gigino - sarebbe difficile fare una storia dell'architettura formicolesca.

- Difficilissimo. Figurati che, oltre alla varietà dei nostri nidi sotterranei, vi sono anche quelli fatti per aria.

- Per aria?

- Vi sono certe specie di formiche che fabbricano la loro casa sui rami delle piante, legandone insieme le foglie, altre nelle galle delle querce, altre nelle fessure delle rocce o negl'interstizi dei muri, altre ancora nel legno degli alberi.

- Dunque sono scultori in legno!

- Sì: e sono bravissime!

- Anche scultori! - mormorò Gigino.

E ricordandosi un po' nella storia degli uomini di quei tempi famosi, in cui nessuno si contentava di esser bravo in una cosa sola, da Dante Alighieri che er poeta, scienziato e diplomatico, a Michelangiolo Buonarroti ch'era scultore, pittore, ingegnere, architetto, poeta e soldato, non poté fare a meno di rimuginare nel suo cervello questo pensiero, che sembrerà bizzarro, ma che non è privo di fondamento:

- A diventar formicola mi par d'essere diventato un grand'uomo! -

Finora abbiamo dato al formicaio il nome di casa delle formiche. Ma piuttosto che una casa era una vera città, ingegnosamente disposta e sapientemente fortificata.

Gigino che aveva profittato dell'esempio di Fusca nel calcolare le distanze, arrivato in fondo, giudicò che l'altezza del formicaio era di almeno trecento volte la lunghezza del proprio corpo, e pensò con compassione al più grande monumento umano, alle famose piramidi d'Egitto, la maggiore delle quali è alta appena novanta volte la lunghezza media di un uomo.

Ma benché fosse tutto compreso di meraviglia e d'ammirazione per i piccoli insetti, de' quali faceva parte e che erano capaci di opere così grandi, a un certo punto, sentendo un certo stiracchiamento allo stomaco, disse senz'altro:

- Tutte cose belle! Ma giacché qui dentro c'è tutto quello che una formicola può desiderare, la mi dica una cosa: come si potrebbe regolare uno che avesse bisogno a un tratto di mettersi qualche cosa nello stomaco? -

Fusca sorrise.

- Finora ti ho imboccato io, ma ora bisogna che impari un po' a mangiare da te.

- Non dubiti: in questo le prometto di riuscire.

- Andiamo dunque: così visiterai anche le nostre stalle! -

Questa era la sorpresa suprema riservata a Gigino.

- Le stalle?

- Sicuro. Andremo a mungere un poco i nostri gorgoglioni.

- I nostri gorgoglioni? - ripeteva Gigino seguendo Fusca, quasi istupidito dalla maraviglia.

Egli si accòrse che la formica prendeva per una lunga galleria obliqua, tutta diritta, la quale evidentemente risaliva alla superficie della terra. A un certo punto sentì che la temperatura s'era fatta più fresca, e si accòrse che era uscito dal sotterraneo, e che il corridoio continuava in su, perpendicolarmente al suolo. Notò pure che nell'interno del corridoio s'inalzava da terra il gambo di una pianta intorno alla quale, evidentemente per proteggerla, era stata costruita la galleria aerea.

Finalmente arrivò a un vano più spazioso, e capì che si trovava in una specie di padiglione, popolato da certi insetti che per non poté definire.

Per fortuna, in quel momento entrò da una piccola finestrina un raggio di luna, e Gigino vide che gli abitanti del padiglione erano quei piccoli animalini che egli aveva osservato tante volte ammucchiati sui fusti dei rosai del suo giardino, e conosceva col nome generico di pidocchi delle piante.

- Ve ne sono di due specie: - disse Fusca - vi sono i gorgoglioni e i gallinsetti. Prendi quelli che vuoi, e mungili pure. -

Gigino si trovò imbarazzato. Mungerli? Ma come? E... dove?

- Di dietro - replicò Fusa che capì la sua incertezza.

Ma Gigino si trovò più imbarazzato che mai. Di dietro? Francamente, per una formica che aveva un pettine per gamba, gli pareva una cosa poco pulita. Però egli si ricordò di avere assaggiato, quand'era bambino, certi crostini fatti di certa roba di beccaccia che erano una delizia, benché a rigore non fossero fatti di roba pulita...; e senza far più lo schizzinoso, imitò l'esempio di Fusca e incominciò a mungere un bel gorgoglione grasso, il quale si prestò volentieri all'operazione.

Gigino non tardò a riconoscere che il liquore concesso con tanta buona grazia dal mansueto insetto era quell'eccellente sciroppo che egli aveva già avuto il piacere di assaggiare; e senza farsi più pregare ne fece una tale scorpacciata che a un certo punto sentì il bisogno di pigliare una boccata d'aria per digerire.

- Andiamo un po' fuori, - disse Fusca.

E tutt'e due, passando per la finestrina, scesero giù giù lungo la parte esterna del corridoio fino in terra.

Allora, al lume di luna, Gigino vide il grazioso edifizio che dall'interno non aveva potuto ben giudicare.

Dal suolo si partiva un tubo di forma assai elegante, il quale terminava in una specie di palla che era appunto il padiglione, entro a cui stavano i gorgoglioni e i gallinsetti. Ma il più bello è che dalla sommità di quella palla usciva una magnifica pianta, ricca di lunghe foglie verdi.

- Io non capisco nulla! - disse Gigino.

- Eppure ci vuol poco a capir tutto. I gorgoglioni e i gallinsetti si cibano della scorza fresca delle piante, e a noi piace immensamente il sugo che essi mandan fuori dopo aver digerito il loro cibo. Perciò prendiamo questi insetti e li teniamo con noi per poterli mungere come abbiamo fatto.

- Stia zitta! Non ho mai munto in vita mia come stasera!

Ma per mungerli bisogna dar loro da mangiare. Ed ecco perché noi fabbrichiamo apposta per loro questo nido attorno al fusto di una pianta, nella quale trovano il loro alimento. Naturalmente, per nostra comodità, edifichiamo questa casa in comunicazione col nostro formicaio, tranne il caso in cui scavando i nostri sotterranei vi troviamo la radice di una pianta fresca, ché allora ci risparmiamo questo lavoro trasportando addirittura i gorgoglioni nella nostra casa. -

Se le formicole fossero soggette a diventar pazze, come succede qualche volta a noi, Gigino avrebbe perso la testa.

L'idea che anche le formiche avevano come gli uomini le loro brave mucche, per le quali costruivano delle stalle igieniche, provvedendo loro il nutrimento per averne del buon latte, superava tutte le sorprese provate fino allora, e oltre a dargli un gran concetto delle virtù formicolesche, gli dava una certa preoccupazione.

Infatti, rientrato nel padiglione dei gorgoglioni, mentre scendeva giù lungo il canale, dirigendosi ai sotterranei del formicaio, pensava fra sé:

- Riepilogando: queste formicole sono balie, istitutrici, minatori, ingegneri, soldati, muratori, scultori, architetti e perfino pastori! Piaccia a Dio che sbagli, ma qua dentro va a finire che ci trovo anche un professore di latino! -

 

 

 


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