Vamba
Ciondolino
Lettura del testo

PRIMO VOLUME

XI. Una formica alla quale il latino fa doler la pancia.

«»

XI. Una formica alla quale il latino fa doler la pancia.

 

Tornato dentro, Gigino si accorse come sia impossibile che le formiche soffrano d'indigestione.

Nell'interno del formicaio le operaie lavoravano ancora, rinforzando la galleria che era stata scavata durante il giorno o ampliandola per ingrandire il fabbricato. Due o tre di loro sentendo arrivare le due formiche, sospesero il lavoro e dissero:

- Presto, qualcuna ci dia da mangiare. Abbiamo appetito. -

Fusca si avvicinò sollecitamente a una di esse, dicendo a Gigino:

- Tu che hai mangiato per quattro, sazia quelle altre due. -

Prima che Gigino potesse capire, le due operaie gli si avvicinarono, e una per volta accostata la bocca alla sua, gli tirarono su dal corpo una buona porzione dello sciroppo che aveva mangiato.

Gigino rimase male dimolto.

- O che genere di scherzo è questo? - disse a Fusca, appena le operaie si furono rimesse al lavoro.

- Devi sapere - rispose Fusca - che noi abbiamo nell'organo della digestione una specie di gozzo, nel quale si accumula parte del cibo. Questa è la nostra riserva alimentare, e da essa viene il sugo, col quale diamo da mangiare alle nostre larve e spesso alle nostre compagne che sono intente al lavoro e che, diversamente, dovrebbero interromperlo per andare in cerca di cibo. -

Spiegata così la cosa, Gigino non poté fare a meno di trovare in questo culto per il lavoro e nella sollecitudine per chi lavora un'altra superiorità dei costumi delle formiche su quelli dell'uomo.

- Le formiche hanno tutte una gran voglia di lavorare, ciò che non si riscontra in tutti gli uomini. Di più, le formiche quando lavorano trovano perfino chi mette loro il mangiare in bocca, mentre spesso, purtroppo, nel mondo gli uomini che lavorano non trovano da mangiare neanche a cercarlo col lanternino! -

Tutte queste cose che egli aveva visto coi suoi occhi e sentito con le sue antenne, gli davano una grande idea dell'ordinamento saggio, provvido, liberale, fraterno di quei numerosi popoli di formiche ai quali, quand'era bambino, non aveva mai badato.

Egli, che entrando nel formicaio, aveva creduto con la sua intelligenza di essere superiore a tutti quei piccoli insetti, ora capiva perfettamente come essi non avessero nulla da invidiare agli uomini; neanche lo sciroppo!

E quante cose aveva visto Gigino in ventiquattr'ore! In un giorno solo aveva scoperto un nuovo mondo, del quale non avrebbe mai sospettato l'esistenza.

Ma, purtroppo, in tutti i mondi c'è il suo bello e il suo brutto.

Questa riflessione Gigino la fece la mattina dopo, quando Fusca venne a dirgli:

- La giornata è splendida. Esci fuori con le altre formiche giovani, ché vicino all'ingresso avrà luogo la lezione. -

A questa parola Gigino s'era sentito andar via tutto l'entusiasmo, e di mala voglia, strascicando tutt'e sei le gambe, salì su, dietro le sue compagne.

Esse si riunirono sotto una larga foglia di zucca che era vicino all'ingresso del formicaio mentre sopra un piccolo sasso prendeva posto una formica dall'aria molto grave, con la stessa solennità come fosse salita in cattedra.

Gigino sentì bisbigliare intorno che quella era la più vecchia formica del villaggio, che aveva visto molto mondo e studiato una gran quantità di cose.

- Care formicoline, - incominciò subito il professore - non sarà male, io credo, che voi, venute alla vita da poco, sappiate qualcosa sul vostro conto, e io sono lieto di potervi dare qualche nozione generale intorno alla storia politica e sociale del nostro popolo. -

Qui il professore si rischiarò un po' la voce, e riprese:

- Noi apparteniamo al più illustre ordine degli insetti, all'ordine degli imenotteri, a quell'ordine che vanta i due insetti più ingegnosi, più laboriosi e più civili: l'ape e la formica. Il nostro popolo è sparso per tutto il mondo in migliaia e migliaia di razze diverse, dalla piccola e industriosa formica bruna al gigantesco Citone rapace, dalla tranquilla formica flava all'audace formica amazzone, che vive di furto. Noi fortunate, mie care, che possiamo vantarci di vivere, costituite in civili repubbliche, col nostro lavoro, tutte sottoposte agli stessi doveri, tutte investite dei diritti medesimi, in una società basata sulla reciproca stima e sull'amore fraterno. -

A questo punto Gigino che vedeva andar la cosa per le lunghe, credendo che nelle scuole formicolesche vi fossero gli stessi sistemi che in quelle dei bambini, alzò una gamba davanti per chiedere il permesso di assentarsi un momentino per sbrigare una faccenda di premura.

Ma il professore non capì o fece finta di non capire, e seguitò il suo discorso patriottico.

- Spesso io, nelle gravi meditazioni della mia vecchiaia, mi lascio trasportare da un roseo sogno e vedo lontano lontano un avvenire più grande e più luminoso per i nostri popoli. Noi siamo oggi, per false tradizioni e per falsi interessi, divisi in tante tribù condannate a far guerra l'una contro l'altra: noi non conosciamo la dolcezza dell'ospitalità, e mettiamo crudelmente a morte qualunque formica straniera osasse penetrare nel nostro villaggio. Ebbene, chi sa! forse verrà giorno in cui tutte le formiche del mondo riconoscendo i loro antichi errori e meglio intendendo i loro interessi e la loro missione, uniranno le loro forze, e sparite le assurde inimicizie, diverranno il primo popolo fra gli insetti. Allora noi vedremo le razze più diverse, dalla "Lasius" europea all'americana "Atta Cephalotes"...

- Ohi, ohi, ohi... -

L'interruttore era Gigino, al quale quel "Lasius" e specialmente quel "Cephalotes" eran rimasti sullo stomaco, e che si contorceva da tutte le parti.

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License