Vamba
Ciondolino
Lettura del testo

PRIMO VOLUME

XXII. L'ultimo addio.

«»

XXII. L'ultimo addio.

 

A poco a poco la vespa si calmò un po', sempre seguitando a brontolare:

- Tutta fatica inutile! Tutto lavoro buttato via! Bisognerà rifarsi da capo.

- Scusa.... - disse Gigino, la cui curiosità aveva preso il sopravvento alla paura. - Mi spieghi che cosa hanno che fare i tuoi figli coi figli della mosca grigia e tutti insieme con questo povero animalaccio, che seguita a dormire placidamente come se niente fosse?

- Come! Ma è appunto per i miei figli che io ho preso questo bruco.

- E allora perché non lo porti in casa?

- Perché la mosca grigia l'ha preso per i figli suoi.

- Abbi pazienza, ma io ci perdo la testa. O come fa a avertelo preso, se il bruco è ancora qui?

- Ah tu non sai.... Ebbene: senti se non ho ragione, a pigliarmela contro queste moscacce infami. Noi vespe diamo la caccia a certi animali, li paralizziamo e li portiamo in casa unicamente per deporre nel loro corpo le nostre uova: queste, dopo un certo tempo, si schiudono e ne escono le larve, le larve dei nostri figli, capisci? E queste trovano pronte il loro nutrimento e divorano l'animale dentro cui la madre previdente le ha riposte, finché filano un piccolo bozzolo, nel quale si trasformano in crisalidi, e sviluppatesi vengono alla luce insetti perfetti come noi. Alcune vespe del mio genere prendono i ragni, altre i grilli, io preferisco di riporre le mie uova nei bruchi, perché più carnosi. Ebbene! vi sono al mondo degli insetti vagabondi come le mosche grigie, i quali han bisogno di assicurare la vita ai loro figli nello stesso modo, ma non hanno né la forza né il coraggio di dar la caccia, come facciamo noi, ai bruchi e ai ragni. Allora che cosa fanno? Questi traditori si aggirano intorno alle nostre case, ci spiano, e quando vedono che noi portiamo in casa la provvista per i figli nostri, piano piano, non visti, questi ladri, vi depongono le loro uova. Vedi? Se tu non mi avessi avvertito prima, io avrei messo il mio uovo in questo bruco, certa d'avere assicurato l'esistenza alla larva di un mio figlio. Invece che sarebbe accaduto? Che l'uovo messo dalla mosca grigia si sarebbe schiuso prima del mio e la larva avrebbe mangiato tutto il bruco, mentre la mia sarebbe poi morta di fame. O dimmi, non è una vigliaccheria quella di questi insetti parassiti, che fanno godere ai loro figli il frutto delle fatiche che noi destiniamo ai figli nostri? Vedi? Ora bisogna che torni daccapo alla caccia, bisogna che trasporti daccapo un altro bruco fin qui. Ma come si fa? I figli premono a tutti, e ci vuol coraggio. -

A questo pensiero parve che ogni collera sbollisse in lei.

- Arrivederci, - aggiunse con energia. - Oramai non c'è altro rimedio che riguadagnare il tempo perduto. Al lavoro! -

E ritornata alla sua indole lieta, spiccò il volo ronzando allegramente, mentre Gigino le gridava dietro:

- Arrivederci, cara Amofila! -

In fondo Gigino sentiva ora una certa simpatia per quella vespa. Era una vespa assassina, è vero, e il suo modo di procedere era addirittura feroce. Ma ella non era assassina e feroce per sé, lo era per i suoi figli, come per i figli suoi era ladra la mosca grigia. L'una ardita, forte, toglieva la vita altrui per darla ai suoi nati: l'altra impotente a questo, derubava per lo stesso scopo al brigante il frutto del brigantaggio.

E lo scopo alto, nobile (Gigino incominciava a comprenderlo) presso tutti gli insetti, anche raggiunto con l'assassinio e con la frode, era sempre quello dei figli, di assicurare all'uovo la fecondazione, alla larva debole e inerme il nutrimento, di proteggerla contro ogni insidia finché il figlio, bello, completo, perfetto, non fosse uscito alla luce a continuare la specie, e a rinnovare a sua volta questo miracolo di cure previdenti e di amorevoli fatiche per una nuova generazione.

Intanto Gigino ripensava all'affetto col quale, appena uscito dal suo bozzolo, l'aveva raccolto e iniziato alla vita la povera Fusca, la sua amorosa nutrice morta per causa sua.

Egli, quasi senza accorgersene, sempre assorto in questi tristi ricordi, aveva risalito il pendìo del fosso e si dirigeva verso il formicaio ch'era stato per lui il nido di tante dolcezze e il teatro di tante sventure.

A un tratto Gigino vide due formiche che trascinavano faticosamente due semi di zucca, e si sentì allargare il cuore.

- Amiche! - esclamò commosso - Non mi riconoscete? -

Erano due antiche sue compagne, due sorelle.

- Oh, guarda! - dissero tranquillamente fermandosi. - E che fai di bello?

- Eh! Fo la vita dell'esule. E voialtre, piuttosto, che cosa fate? Dove portate codesti semi?

- Oh bella! Li portiamo giù nel nostro villaggio, dove sono i nostri padroni.

- Come! vi sono i vostri padroni, e chiamate ancora vostro il villaggio?

- Certamente. Noi li serviamo poiché così ha voluto il nostro destino, e in grazia dei nostri servizi e delle nostre fatiche, possiamo continuare ad avere una casa nostra. Ma è già tardi, e dobbiamo tornare. Addio! -

Gigino scandalizzato dalla facilità con la quale le sue sorelle s'erano adattate al servaggio, gettò loro dietro con tono di disprezzo questa parola:

- Schiave!... -

E continuò a camminare, senza che gli passasse neanche per la testa che l'unica causa della loro schiavitù era stata propria la sua smodata ambizione. Ma bisogna rendergli questa giustizia: la sua mente era tutta occupata, in quel momento, da un nobile pensiero.

Egli guardava qua e , come cercando qualche cosa. Finalmente a poca distanza dal formicaio si fermò, udendo un rumore curioso, come di qualcuno che masticasse sgretolando delle ossa.

Gigino s'indirizzò verso il luogo donde veniva il rumore, e appena giunto dié un grido di indignazione e d'orrore.

Dinanzi a lui stavano aggruppati alla rinfusa i miseri avanzi dei suoi compagni d'infortunio, un mucchio orribile di corpi mutilati e di teste staccate dal busto; e in mezzo a quel pietoso ammasso di vittime tre formiche, spaventevole a dirsi!, si erano riunite a banchetto, divorando allegramente i cadaveri delle loro sorelle.

- Ah, vili! - gridò Gigino - vi sono, dunque, anche tra le formiche gli spregevoli sciacalli e le iene? -

Ed esistono, infatti, alcune specie di formiche profanatrici e divoratrici di cadaveri. Gli esempi di sì nefando delitto sono, in verità, assai rari, ma bastano ad offuscare il buon nome che questo popolo, pur tanto ricco di virtù e di pregi, ha saputo conquistare tra gli insetti. Così i malvagi oltre i danni diretti che recano ai buoni con le loro colpe, hanno spesso la triste potenza di infamare il nome immacolato della famiglia nella quale sono nati, e perfino della terra che ha avuto la sventura di dar loro i natali.

Perciò fece molto bene Gigino che, piombato sui tre feroci banchettanti, li uccise prima ancora che avessero potuto riaversi dalla sorpresa.

Quindi rivolse lo sguardo sugli avanzi delle sue vecchie compagne.

Gigino ebbe un momento d'angoscia suprema, e gettatosi in mezzo a quelle spoglie, mormorò con accento doloroso:

- Perdono! perdono!... -

Poi si alzò e a uno a uno trasportò quei poveri corpi al lontano cimitero, disponendoli in ordine e assegnando un posto speciale a quello del Professore e a quello di Fusca, dopo averne, con pietosa cura, riunito alla meglio la testa al busto.

Prima di allontanarsi di volle abbracciare per l'ultima volta quella che era stata la sua amorosa nutrice, e singhiozzando esclamò:

- Ah! Fusca mia cara... Se tra noi ci fosse l'uso delle lapidi, te ne vorrei mettere una bella e grande perché la vedessero tutti, e sopra vorrei incidervi con parole d'oro questa iscrizione:

 "Alla più buona mamma delle formicole"" -

 

 

 


«»

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on touch / multitouch device
IntraText® (VA2) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2011. Content in this page is licensed under a Creative Commons License