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XXV. La barchetta misteriosa
Finalmente, dopo uno sforzo violento, l'insetto alato parve riaversi e, steso il corpo si rigirò su sé stesso, scoprendo un piccolo mucchio di uova che erano rimaste appiccicate sul filo d'erba, certe uova lunghe appena tre millimetri, gialle e tinte un po' di rosso nella parte più grossa.
- Ecco fatto! - disse l'arcano personaggio, guardandole con soddisfazione. Si vive poco noi; ma assicurata la discendenza, si può morir contenti. I miei figli vivranno a lungo! -
Gigino, ch'era rimasto fin allora muto dalla maraviglia, non poté far di meno di esclamare:
- Eh! - rispose l'insetto riprendendo subito il suo tono sarcastico - sarebbe forse meglio per te che io non lo fossi.
- Non ti capisco: ma si può sapere, se non sei una libellula, che cosa sei?
- Ti basti questo: io sono stata molto amante delle formiche; ma non so se esse abbiano amato me come io ho amato loro. -
Poi, con una delle sue solite risatine ironiche, riprese:
- Va' pure per la tua strada: io rimango qui a mettere in sicuro i miei figliuoli, ai quali auguro di incontrare nella loro vita molte formiche buone come te; poiché tu devi essere una formica eccellente! -
L'espressione quasi feroce, con la quale furono pronunziate le ultime parole, dettero uno strano significato a quella frase che pareva un complimento, tanto che Gigino riprese il suo cammino senza neanche credersi in dovere di ringraziare.
Egli andava avanti in silenzio, sempre pensando a quelle parole e tentando invano di penetrarne il senso nascosto, quando, dopo un buon tratto di strada, sentì dietro di sé una voce che diceva:
- Lo vuoi proprio sapere chi son io? -
Gigino si volse di scatto e scorse sopra la foglia di un albero l'insetto che gli aveva battezzato per un libellula.
- Ora che siamo lontani dalle mie uova, che tu cercheresti invano di rintracciare, posso dirtelo: Trema! Io sono il Formicaleone! -
Questa volta rise Gigino. Quel nome pronunziato con accento terribile e la posa drammatica che aveva preso l'insetto alato, misero di buon umore il nostro eroe, il quale si accomiatò da lui ripetendo con quella sua solita aria impertinente:
- Scusi tanto, signor Formicatigre, se non l'avevo riconosciuto alla prima. Arrivederci, signor Formicaleopardo. Mi raccomando, caro signor Formicaippopotamo, di stare attento ai leoncini che ha riposto nelle sue uova! Con gli artigli, a volte, potrebbero rompere il guscio. -
Eppure con tutte le sue barzellette, Gigino dovette confessare a sé stesso che il nome di quell'insetto gli aveva fatto una triste impressione, e si ricordava vagamente d'aver sentito, nel tempo in cui abitava nel formicaio, ripetere spesso dalle formiche adulte a quelle più giovani: - Badate al Formicaleone! -
Ma solo più tardi il nostro povero e piccolo re in esilio doveva trovare, con molto suo pericolo, la spiegazione di tutte le misteriose parole che gli aveva detto il suo strano compagno di viaggio.
Intanto Gigino camminava sempre in avanti, senza mai abbandonare la direzione che doveva ricondurlo alla sua villa. E aveva camminato molto, quando, a un tratto, gli si parò dinanzi un ostacolo imprevisto, che fece cadere d'un colpo tutte le care speranze che l'avevano sorretto durante il lungo cammino.
Dinanzi a lui si distendeva un lago, un lago immenso, sterminato per una formica, se si considera che un uomo avrebbe potuto appena passarlo con un salto.
Che fare? Come giungere dall'altra parte, senza perdere la direzione, senza smarrire la strada che gli aveva indicato il Cinipe?
L'unico modo sarebbe stato quello di attraversare il lago in linea retta; ma con quali mezzi? E poi quali speranze, se egli non giungeva neppure a scorgere la costa opposta?
Gigino guardava qua e là con aria desolata quell'immenso lago che gli ultimi raggi del sole illuminavano di una tinta sanguigna, e cercava invano una buona ispirazione: egli non ne ebbe che una, da disperato.
- Io non so se a una formica sia possibile nuotare; ma che m'importa? Io raggiungerò la mia mamma o affogherò pensando a lei! -
E varcato un cespuglio d'erba che lo divideva dal lago, si avvicinò risolutamente all'acqua e fece per buttarvisi dentro. Ma si fermò a un tratto.
Proprio davanti a lui, galleggiava sull'acqua una elegante barchetta a sei remi, sulla quale parve a Ciondolino di scorgere perfino una bella panchina gialla per mettersi a sedere.
Quella barchetta sembrava proprio che non aspettasse che lui, e non avesse altro scopo che quello di toglierlo da un crudele imbarazzo.
Gigino, come capirete facilmente, non ci stette a pensare su due volte; e siccome essa era un po' discosta dalla riva, trovò subito un ingegnoso stratagemma per calarvisi dentro, senza il pericolo d'affogare né l'incomodo di bagnarsi.
Egli si arrampicò su una foglia sottilissima e pieghevole d'una pianta ch'era appena lambita dal lago e, prese bene le sue misure, quando fu in cima la scosse in modo da farla curvare per il peso del proprio corpo, finché vistosi precisamente al disopra della barchetta si lasciò andare e cadde proprio in quel punto dove aveva visto la panchina tinta di giallo.
- E ora forza nei remi! - esclamò Ciondolino cercando d'agguantarli.
Ma non ne ebbe bisogno.
Come se la misteriosa barchetta non avesse atteso altro ordine, l'ultimo paio di remi, due remi lunghissimi, mossi improvvisamente da una magica forza, si distesero subito, e con un colpo vigoroso nell'acqua scostarono con la massima rapidità la barca dalla riva.