Vamba
Ciondolino
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SECONDO VOLUME

XXVIII. Due insetti che ritrovano la loro casa.

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XXVIII. Due insetti che ritrovano la loro casa.

 

Doveva proprio essere uva salamanna, e la casa dove l'Ape aveva appoggiato il suo nido, doveva proprio essere la sua villa.

Sì, perché Gigino aveva domandato l'indirizzo del nido con la ferma intenzione di fare un'opera buona, e le opere buone sono sempre ricompensate: aveva pensato alla sua mamma, ai consigli avuti da lei, era disposto con tutto il suo ardore a metterli in pratica..., e siccome tutto questo era bene, non poteva assolutamente trovarsene male.

- Io vado via - disse Ciondolino ai Bombi - col cuore pieno di gratitudine per voi. Voi siete molto buoni e la vostra bontà è tale, che trova perfino vie ignorate da voi stessi per consolare gl'infelici. Vedete? La pietà che avete avuto per il povero insetto muratore, reca un'immensa felicità anche a me, in modo che io vi debbo una doppia riconoscenza. -

Ed egli diceva il vero; era questo uno dei tanti miracoli della carità, di questa dolce virtù che moltiplica i suoi benefici all'insaputa di chi la esercita, e raccoglie intorno a lui un soave profumo di benedizioni, senza che egli sappia di averle mai meritate.

Piena di fede e di coraggio, la nostra formica prese la via che l'Ape le aveva indicato, andando di buon passo e senza mai fermarsi.

La strada era buona, nessuno ostacolo si frappose questa volta al suo viaggio, tanto che, dopo aver camminato qusi tutta la giornata, Gigino si trovò finalmente ai piedi della sua villa.

Era proprio quella; e non vi so dire, ragazzi miei, con quale commozione Ciondolino salisse quei due scalini che aveva discesi tenendo in mano la grammatica latina l'ultimo giorno che egli era stato un bambino, insieme col suo fratello e la sua sorellina.

Che n'era stato di Maurizio e di Giorgina?

Ecco una domanda alla quale non sapeva rispondere.

Entrando in casa forse ne avrebbe saputo qualcosa. Ma prima, per quanto vivo fosse in lui questo desiderio, voleva mantenere la promessa fatta all'Ape, la quale, senza saperlo, gli era stata tanto utile.

Era una specie di voto che aveva da adempiere; e arrampicatosi su per la porta che era chiusa, si mise a perlustrare la facciata della casa, in cerca del nido da riconquistare.

Su su, in prossimità del tetto, ne vedeva uno che doveva certo essere stato costruito da muratori abili e forti: un nido fatto di materia argillosa, che sporgeva in fuori in un cilindro ricurvo, e nel quale vide entrare precipitosamente un insetto alato, che teneva stretta al petto una povera farfalletta.

Gigino si affacciò alla buia galleria gridando:

- Ehi di casa! -

Subito si udì nell'interno un coro di grida irose, e a un tratto sbucarono fuori impetuosamente, cozzandosi l'una contro l'altra nella furia di uscire, le furibonde abitatrici di quella casa così saldamente fortificata.

Il nostro eroe ebbe appena il tempo di tirarsi in disparte, e buon per lui che esse, accecate dalla collera com'erano, non gli ponessero mente.

Egli, appena furono uscite, se la svignò a gran passi, e volgendosi indietro spesso, le vide rientrare e riuscire più volte, sempre urlando e gesticolando come tante indiavolate.

- Gli uomini - pensò - quando capita a qualcuno di sollevare una questione grossa o un pettegolezzo di quelli che non finiscono più, usano di dire: "Quello è andato a stuzzicare un vespaio..." Ora so per esperienza che la similitudine non potrebbe essere più giusta, e ringrazio Dio d'essermela cavata a buon mercato. -

Il nido dov'era capitato Gigino, era infatti quello delle vespe muraiole, insetti potenti, ma sospettosi e collerici all'ultimo grado.

Poco discosto la nostra formica osservò una costruzione, che all'esterno pareva né più né meno che una manata appiccicata al muro. Ma guardandola da vicino e ricordandosi la descrizione che l'Ape aveva fatto della sua casa, vide ch'era proprio quella che cercava. Scoprì, l'ingresso e accostatosi, sentì che qualcuno ronzava dentro.

Armato delle sue tanaglie e di pazienza, si appostò al buco e aspettò.

Il sole era già tramontato, ed egli, fedele alla parola data, era sempre ad aspettare che il ladro venisse fuori per prenderlo di sorpresa.

A un tratto Gigino sentì che il ronzìo andava avvicinandosi, e l'Ape prepotente non tardò a mostrarsi all'ingresso della casa rubata.

Egli le balzò sopra con un salto, l'afferrò con le mandibole alla testa, le circondò con le quattro gambe le ali e il corpo, e dopo essersela messa sotto, per modo da impedirle ogni movimento, le sussurrò con aria di canzonatura:

- Scusi tanto, sa? Sono venuto, se permette, a riscuotere la pigione di casa. -

E siccome l'Ape tentava di difendersi mostrando il suo pungiglione, egli, preso il contrattempo, glielo staccò di netto con un colpo di tanaglie, esclamando:

- Mi dispiace, ma che vuole? Lei non ha il porto d'arme! -

Toltole così ogni mezzo di nuocere, la lasciò dicendole con tono di disprezzo:

- Scappa via e non ti far più vedere in questi luoghi, e ringrazia la tua sorte che io mi contenti di toglierti lo stile, del quale ti servivi per le tue grassazioni! -

L'Ape ladra e vagabonda non domandava di meglio, e volò via, mentre una voce gridava:

- Formica mia, lascia che ti abbracci! -

Era l'altra Ape, la proprietaria legittima del nido.

Essa, partita dalla casa dei Bombi, era venuta sulla facciata della villa per costruirsi un altro nido, e attratta dalle grida era capitata e aveva assistito a tutta la scena svoltasi tra l'Ape malvagia e Gigino.

- Vedi se sono stato capace di mantenere la mia promessa? - le disse egli. - Entra pure ora in casa tua, onesto muratore, e non aver paura; la tua nemica non sfrutterà più il tuo lavoro. -

E ridisceso dalla facciata, andò alla porta della sua villa.

- E l'uva salamanna? - diranno i miei piccoli lettori con l'acquolina in bocca.

L'uva salamanna rimase quella che era.

Ciondolino, bisogna dir la verità, tra l'ardore di riparare l'ingiustizia patita dall'insetto muratore e il desiderio di entrare nella sua villa, non aveva neanche pensato di assaggiare quell'uva deliziosa, con la quale, quand'era un bambino, faceva vendemmia tutt'i giorni.

 

 

 


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