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XXXI. Dove Gigino ha ancora occasione di lamentarsi del suo professore di latino.
Gigino era lieto di aver pagato il suo debito di gratitudine al buon Sirice, ed era anche contento del coraggio e della sveltezza di cui aveva dato in quel momento una mirabile prova.
Ma i piedi degli uomini e anche quelli delle donne gli inspiravano, a dir la verità, poca simpatia, e siccome cominciava a sentire per la casa altri rumori di passi, gli venne una gran paura d'esser pestato da qualcuno, e si arrampicò prudentemente sopra una parete mormorando:
- Che se l'uomo, questo grosso animale, potesse comprendere che tesoro di costruzione e di vitalità si nasconde negli animalucci piccini come me, porrebbe certo più attenzione nel camminare per non schiacciarli. -
Intanto egli udiva delle voci nelle altre stanze, e nel desiderio vivissimo di rivedere qualcuno della sua famiglia, salì sopra un attaccapanni ch'era alla parete; e, siccome v'era appeso un gran cappello di feltro, vi montò sopra e si fermò sulla tesa esclamando:
- Di qui posso dominare la stanza quant'è grande, e fra poco, quando verranno tutti a far colazione, potrò vederli e sentire quel che dicono! -
Infatti, dopo poco, entrò nella stanza lo zio Tommaso.
Gigino lo riconobbe con commozione; ma la commozione divenne anche più forte, quando sentì che lo zio diceva:
- Presto, Lisa, leva la polvere al mio cappello, ché devo andare in città. -
Gigino si sentì rabbrividire. Immediatamente il cappello fu sollevato, ed egli che sentiva la tesa tremargli sotto i piedi a ogni colpo di spazzola, aspettava di momento in momento d'esser lanciato chi sa dove, insieme con la polvere.
Fortunatamente per lui, le cameriere non sono mai troppo scrupolose nello spolverare i cappelli dei loro padroni, e la Lisa si limitò, e fu già molto, a spazzolarne mezzo solamente.
Gigino era salvo: ma egli si trovava nella imbarazzante situazione di essere schiavo di quel cappello, il quale era schiavo dello zio Tommaso; e siccome questi uscì di casa, così anche Gigino fu costretto a uscir con lui.
- Alla fine - pensava - se io sono obbligato ora a andar fuori con mio zio, mio zio sarà poi obbligato a riportarmi in casa. -
E intanto passeggiava allegramente intorno alla tesa del cappello.
Ma, pur troppo, il nostro amico faceva i conti senza il suo professore di latino, che fatalmente doveva ritornare in ballo, e amareggiare anche la sua vita di formica.
Infatti, non molto fuori dalla villa, Gigino che seguitava a far le corse sulla tesa senza nessun sospetto, fu violentemente lanciato a terra.
Lo zio Tommaso aveva salutato il professore di latinr che veniva appunto alla villa, con una grande scappellata, senza immaginarsi neanche lontanamente di buttare in terra il suo nipotino, il quale appena poté riaversi da quel tremendo colpo, esclamò:
- Ah quel professore! Se ritrovo il mio amico Sirice, voglio pregarlo di scavargli una galleria nella testa! -
Il nostro eroe era disperato e, per esser giusti, aveva un po' di ragione.
Dopo tante fatiche durate, tanti pericoli scampati, tanti ostacoli vinti, era giunto a casa sua ed ecco che una circostanza trascurabile e che non si poteva prevedere, lo allontanava improvvisamente dalla mèta raggiunta, e lo buttava a gambe all'aria in un luogo ignoto dal quale era impossibile per lui orizzontarsi.
A un tratto udì vicino delle voci che dicevano:
- Non ho mai visto un insetto senz'ali fare una capriola così ardita.
- Se fosse caduta una di noi di tant'alto con la pancia all'aria, non si sarebbe potuta rialzare così facilmente. -
Erano, invero, strani esseri coloro che commentavano in questo modo la disgrazia toccata al nostro povero amico, il quale non poté trattenere, vedendoli, un lungo Oh!... di maraviglia.
Erano certamente formiche: ma erano formiche strane, delle quali Gigino non avrebbe mai sospettata l'esistenza; certe formicolette tutte gialle, con l'addòme di una grossezza spropositata, e una pancia assolutamente spettacolosa.
- O di dove venite, - esclamò Gigino - care sorelle giallognole e panciute?
- Eh! - rispose una di esse - benché tu venga da molto alto, noi veniamo da più lontano di te.
- Dal Messico! -
Gigino credette lì per lì che le formiche lo canzonassero, ed era per dirne quattro, quando un'altra esclamò:
- Sorelle, c'è il sole, ed è ora che ci ritiriamo. -
Le strane formiche si rimisero in cammino lentamente, faticosamente, trascinandosi dietro la loro grossa pancia gialla.
Il nostro amico le seguì, senza parere. Egli aveva una gran voglia di saperne un po' di più sul conto loro, e pensava che d'altra parte in quel momento non avrebbe saputo trovare un miglior mezzo per ingannare il tempo.
Piano piano il gruppo delle formiche gialle si arrampicò su per un'altura, in cima alla quale era inalzato un piccolo monte di terra sabbiosa, certamente il loro nido.
Infatti, al vertice di questo monticello tre formiche gialle come le altre, ma senza quella pancia enorme, stavano in sentinella, e appena videro le compagne salutarono il loro arrivo gridando con gioia:
Poi, scorgendo Ciondolino che se ne veniva lemme lemme dietro a quelle, esclamarono, con accento piuttosto acre:
- Chi è questo straniero? Che vuole? -
Ciondolino si avanzò salutando rispettosamente le tre sentinelle, e disse con gravità:
- Io vi prego, se non vi dispiace, di comprendere anche me tra le vostre sorelle, senza far distinzione di colore, e di non diffidare della mia presenza in questi luoghi, dappoiché io non abbia verso di voi nessuna ostile intenzione. -
Quel dappoiché fece un grand'effetto sulle sentinelle, le quali risposero in tono un po' più dolce:
- Quali sono, dunque, le tue intenzioni?
- Eccole: - rispose Gigino con franchezza - io tal quale mi vedete, sono una povera formica bandita dal suo villaggio in seguito alle tristi vicende di una guerra; sono perciò sola e non avete nulla da temere. L'unico mio desiderio è di sapere chi siete, di dove venite, di conoscere le vostre usanze, e di imparare ad apprezzarvi come meritate. -
Questo discorsetto fatto tutto a cacio e burro, fu molto gustato dalle sentinelle, le quali dopo essersi riunite in un breve conciliabolo, decisero di rilasciare allo straniero il permesso di visitare il loro nido, accompagnato, per misura di prudenza, da una di loro.
Egli, dunque, discese per l'apertura praticata in mezzo al monticello, un'apertura fatta a imbuto che continuava giù perpendicolarmente, conducendo al primo piano del formicaio.
Gigino fece molti complimenti alla sua guida per l'architettura di quel villaggio, la cui costruzione doveva esser costata molte ingegnose cure a causa della qualità friabile e poco resistente della terra. Quindi, traversando una galleria verticale, passò al piano di sotto, composto di dieci grandi stanze, le cui pareti erano assai rustiche, in confronto delle altre già visitate.
Ma Gigino non ebbe tempo di badare a questa inezia, poiché in quelle stanze, debolmente illuminate da un debole filo di luce che veniva di sopra, si trovò dinanzi a uno spettacolo tanto straordinario, che non poté fare a meno di gridare:
- Ma questo è un sogno!...
- Un sogno? - replicò la guida. - Niente affatto: quelli sono dei veri orci pieni di miele. -
Arrampicate alle pareti di ogni stanza stavano una trentina di formiche, da ciascuna delle quali pendeva giù una pancia enorme, gialla, lucida e trasparente come un boccione pieno d'olio.
- Orci di miele? - replicò Gigino quasi istupidito dinanzi a quel quadro fantastico.
- Proprio così... - rispose la guida. - E io compatisco la tua meraviglia, poiché voi altre formiche di qui non avete un'idea della nostra organizzazione sociale. Noi siamo formiche messicane, e ci troviamo in questo paese per una pura combinazione. Figurati! Molto tempo fa, in uno di quei mostri coi quali gli uomini usano traversare le acque (Gigino capì che la formica gialla voleva dire un bastimento), furono caricate nel Messico diverse piante, e sui loro fusti e sulla terra che avvolgeva le loro radici furono così trasportati alcuni insetti di quei luoghi, tra i quali una formica della nostra specie, che finì col piantare e popolare questo villaggio.
- Ah! - esclamò Gigino - quella formica era forse sopra una quercia del Messico?
- Sopra una quercia ondulata... precisamente! -
Il nostro eroe si ricordava, infatti, che due anni indietro lo zio Tommaso aveva fatto venire dal Messico alcune piante, tra le quali una quercia, e a questo pensiero si risentiva nascere tutte le sue speranze, poiché la presenza di quelle formiche era una prova evidente che egli non era molto distante dalla sua villa, dove anelava di ritornare.
- Perché, vedi... - riprese la sentinella - la quercia ondulata è il nostro pane. Sulle sue galle, che son prodotte dalla puntura di certi Cinipidi, quelle formiche che hi incontrate per via vanno la notte a succhiare un umore deliziosissimo, facendone una spanciata terribile, tanto che questo eccesso di alimentazione gonfia il loro corpo fino al punto di render loro difficile il cammino per ritornare a casa. Giunte qui, si arrampicano alle pareti, e altre loro compagne pensano a riempirle ancora più che è possibile, finché son ridotte a veri orci, come tu vedi.
- E stanno lì sempre?
- Sfido io! Esse non possono più muoversi e non hanno altro ufficio che quello di conservare il cibo per noi operaie. D'altra parte, esse scelgono spontaneamente questo grave incarico. -
Gigino era sbalordito. Non avrebbe mai supposto che potrebbero esservi delle formiche conservatrici di miele, delle formiche così piene di abnegazione da rinunziare a qualunque partecipazione alla vita attiva, accettando di ridurre il loro corpo all'uso di magazzino di viveri per utilità delle loro compagne.
In quel momento le formiche gialle che egli aveva incontrato per via, stavano inpinguando altre formiche appese, versando in loro una parte del cibo raccolto, e dicevano allegramente:
- Così non ti moverai più: oggi a te, domani a me...
- Vuoi assaggiare un po' del nostro miele? - chiese a Gigino la sua guida.
Questi non se lo fece dir due volte, e accettò con piacere l'umore che gli offrì una delle formiche, riempita solo per metà e che perciò si poteva muovere. Era un miele squisito, sebbene un po' acidulo, forse per esservi una piccola quantità d'acido formico.
- Ah, quali miracoli sa far la natura! - esclamava Gigino risalendo verso l'uscita del formicaio, - riesce perfino a creare degli orci viventi! -
Giunto con la sua guida all'apertura del villaggio delle formiche gialle, fece i più vivi ringraziamenti alle tre cortesi sentinelle e stava per congedarsi da loro, quando esse gettarono un grido di spavento:
- Il Torcicollo! -
- Nello stesso tempo Gigino si sentì afferrare per il dorso e trasportar via con le tre formiche messicane.