Vamba
Ciondolino
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SECONDO VOLUME

XXXIII. L'imperatore Ciondolino è preso a sassate.

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XXXIII. L'imperatore Ciondolino è preso a sassate.

 

Gigino era rimasto estatico. Le parole dell'ape, dapprima acri e sarcastiche, erano via via divenute dolci e carezzevoli, e il tono adirato, col quale era stato incominciato il discorso, aveva ceduto durante quella poetica perorazione a un tono gentile e affettuoso.

- Quante belle cose mi hai raccontato! - disse finalmente il nostro Ciondolino.

Poi, mosso da un impeto irresistibile domandò:

- Vogliamo rifar la pace?

- Volentieri, - rispose l'ape.

- Grazie. E per farti vedere che so apprezzare i tuoi sentimenti, anderò via subito da questa rosa... ma a un patto. Prima mi devi spiegare come fai a pigliare il miele e la cera.

- È una cosa facile per me: io suggo con la mia proboscide i pètali dei fiori, e questo sugo, passando per il mio stomaco, diviene miele perfetto. Quanto alla cera, essa, in seguito alla nutrizione di materie zuccherine, mi vien fuori dall'addòme, come un sudore. Guarda. -

E l'ape mostrò, infatti, che i tre anelli del suo addòme erano pieni di cera.

- Un'altra domanda, - soggiunse Gigino.

- Fa' presto perché siamo quasi al tramonto e io devo tornare alla mia arnia.

- Che rob'è?

- Come! Non sai neanche questo? L'arnia è il nostro villaggio. Dunque?

- Dunque volevo sapere il tuo nome.

- Io mi chiamo Dolcina. -

L'ape prese il volo, e Gigino la seguì con l'occhio finché la vide fermarsi a breve distanza sopra un albero: poi il nostro eroe riprese la strada già fatta, e incominciò a scendere.

Ma egli non era stato il solo a seguire con lo sguardo il volo della bella Dolcina, poiché a un certo punto udì una voce stridula, che partiva d un ramo del rosaio e che diceva:

- Ah! ah!... Cara signora ape, ora sappiamo dove sta di casa, e stasera verremo ad assaggiare il suo miele. -

Gigino si volse e rimase sbigottito.

Attaccato al fusto del rosaio stava un mostro nero, di proporzioni colossali, di aspetto funebre, reso anche più terribile da un teschio giallo disegnato sul suo gran dorso bruno e peloso.

Alla vista di quella spaventevole insegna, il nostro Ciondolino si fece il segno della croce come se si fosse trovato dinanzi al diavolo in carne e ossa, mentre il mostro nero continuava a borbottare con la sua voce sibilante:

- Benissimo, corpo di una patata! Quando sarà buio, quant'è vero che mi chiamo Àtropo, anderò a indolcirmi la bocca. -

Era infatti un Àtropo, una di quelle grosse farfalle nere, che comunemente si chiamno "Teste di morto", appunto per quel lugubre disegno giallo sul dorso, e che, irritate, emettono un suono stridulo anche più funebre.

Queste due sinistre qualità, il loro colore, la loro mole e il loro apparir nel buio della notte hanno fatto dare a questi animali presso la gente sciocca e ignorante la fama di insetti di malaugurio, come il loro monotono berciare di notte ha fatto dare il nome d'uccelli di malaugurio alla civetta e al barbagianni.

Certo, gli uomini han torto di temere, per effetto di stupide superstizioni, questi animali, altri esseri han ragione di averne paura: e gli uccellini fanno bene a guardarsi dalla civetta che li trova troppo saporiti, come le api fanno bene a stare in guardia contro la sfinge Àtropo che è troppo ghiotta del loro miele.

Questo, Gigino l'aveva capito perfettamente. E siccome egli sentiva una grande simpatia per le api in generale e per Dolcina in particolare, la quale, malgrado la pessima accoglienza che gli aveva fatto, s'era poi mostrata a lui così sentimentale e poetica, disse tra sé:

- L'arnia non è molto lontana..., e poiché il caso mi ha messo a parte delle intenzioni di questo ladrone nero, non sarebbe male che io andassi ad avvertire la mia amica Dolcina. -

E, vincendo la paura, dopo aver dato un'occhiata all'albero dove l'ape s'era posata, continuò zitto e quieto la discesa del rosaio, e giunto a terra si diresse verso l'arnia.

L'amico correva a più non posso, senza badare a ostacoli, senza perdere mai la direzione dell'alveare, e mormorando tra sé:

- Il mostro, da vero ladro, ha detto che andrà a rubare quand'è buio; ma, benché io non abbia le sue grandi ali, vi arriverò prima io. -

A un tratto si fermò sbalordito. Gli era parso di udire delle voci a lui note, gridare:

- Viva l'imperatore! -

Si guardò intorno, ma non vide nulla. Stava già per rimettersi in cammino, sicuro di essersi ingannato, quando udì di nuovo gridare, e questa volta in modo così distinto, da non poter più dubitare:

- Viva Ciondolino primo! -

Gigino, tra la sorpresa e la gioia, fu per svenire.

Intanto da una grande foresta d'erba situata alla sua destra sbucarono fuori due formiche, che si dirigevano trafelate verso di lui, e nelle quali egli non tardò a riconoscere i suoi due vecchi aiutanti di campo.

Fu un grido solo:

- Ciondolino!

- Testagrossa! Grantanaglia! -

E le tre formiche, gettatesi l'una nelle braccia dell'altra, formarono un commovente gruppo che, se non era precisamente quello delle Tre Grazie, poco ci mancava.

Al tenero amplesso seguì, naturalmente, un diluvio di domande, di spiegazioni e di rallegramenti.

- Il nostro imperatore! - esclamava Grantanaglia. - Eccolo qui. È proprio lui! Chi ce l'avrebbe detto!

- E noi, - soggiungeva Testagrossa, - che lo credevamo morto!

- Grazie del gentile pensiero, - replicava Gigino. - E vi assicuro io, che era completamente ricambiato.

- Ah! noi ci siamo salvate per miracolo. Siamo scappate via, non si sa come, mentre una ventina di Rossastre ci inseguivano con le mandibole spalancate, gridandoci dietro tutti i vituperii possibili e immaginabili. Che battaglia! Pensare che l'abbiamo perduta, mentre tu avevi avuto quel lampo di genio di aggregare al nostro esercito i Bombardieri!

- Che volete? - soggiunse Gigino con solenne rassegnazione. - Non sempre la fortuna è amica del genio. Basta! Non potete credere come mi ha fatto piacere l'avervi ritrovate.

- E noi! Ma noi ora staremo con te fino alla morte!

- Allora - disse Ciondolino commosso - accompagnatemi perché devo andare in un posto. Intanto mi racconterete la vostra storia. -

E tutt'e tre proseguirono la via verso l'alveare.

- Figurati che... - incominciò Testagrossa.

- Immaginati dunque... - incominciò al tempo stesso Grantanaglia.

- Uno per volta! - disse Gigino con autorità. - Grantanaglia, concedo a te la parola.

- Immaginati, dunque, - riprese Grantanaglia - che siamo vissute finora di una vita randagia, sempre in mezzo a mille pericoli.

- Come me!

- Senza mai sapere dove andare a passar la notte.

- Come me!

- Né dove andare a mangiare.

- Eh! io son digiuno da stamani!

- Insomma, abbiamo condotto l'esistenza più disgraziata che si possa immaginare. Ma ora che ti abbiamo ritrovato, ora che siamo con te, non abbiamo più paura di nulla, non è vero Testagrossa?

- No davvero! -

E mentre Gigino gongolava, i due aiutanti di campo, al colmo dell'entusiasmo gridarono:

- Evviva l'imperatore Ciondolino primo! -

Immediatamente, come in risposta a questo grido, una grandine di sassate avvolse l'imperatore e la sua corte; e il nostro eroe, sentendosi scivolare la terra sotto i piedi, ebbe appena il tempo di afferrarsi a un filo d'erba, mentre Grantanaglia gli gettava le braccia al collo esclamando:

- Reggimi, se no casco! -

Fu l'affare di un attimo: la scarica di sassate cessò come d'incanto, e Ciondolino e Grantanaglia udendo una voce fioca, che pareva venire da sottoterra e che implorava aiuto, sempre mantenendosi attaccati, volsero istintivamente lo sguardo sotto di loro e rabbrividirono.

Un quadro orribile, una scena selvaggia, raccapricciante si presentò ai loro occhi.

Essi si trovavano sul ciglio di una buca fatta a imbuto, in fondo alla quale Testagrossa si dibatteva invano, chiuso tra le enormi pinze di un pauroso mostro, che succhiava l'infelice formica esclamando ogni tanto:

- Come è buona!

- È il Formicaleone! - balbettò Grantanaglia tremando.

- Il Formicaleone! - ripeté Gigino ricordandosi a un tratto la sua avventura con l'insetto che somigliava a una libellula. - Ah! ora comprendo le sue parole. Io vidi l'insetto perfetto, e qui vedo la larva. Ecco perché il mio strano compagno di viaggio augurava ai suoi figli d'incontrare delle formiche buone come me! -

Quasi rispondendo alle sue riflessioni, il mostro, dopo aver finito di succhiare la sua vittima, con uno scatto, come quello di una molla, ne rigettò il guscio fuori della buca, esclamando con soddisfazione:

- Squisita! -

Allora soltanto Gigino poté osservare quel feroce sanguinario in tutto il suo orrore. Dal fondo della buca, ov'era saldamente sepolto per metà, sporgeva in su un mostro orrendo con un muso nero e minaccioso, con sette occhi per parte e armato di due potenti tanaglie, con un addòme irto di peli ispidi e neri, dal quale uscivano due zampe, che terminavano in un paio di terribili uncini.

- E ora, - disse egli con voce cavernosa volgendo i suoi quattordici occhi sulle due formiche terrorizzate - verrete giù anche voialtre, si spera. Toh! toh! Io che fo la caccia quando c'è il sole, non mi aspettavo a quest'ora una cena così succolenta. -

E in così dire, puntando le sue zampacce e scalzando con una forza e una destrezza straordinaria la terra sabbiosa in cui si trovava, scagliò sui due atterriti spettatori un altro diluvio di sassate.

Gigino, sentendosi tirar giù dalla sabbia che ricadeva naturalmente in fondo all'imbuto, fece uno sforzo supremo, e sempre con Grantanaglia attaccato al suo collo, si puntellò al fil d'erba che lo aveva sorretto fino allora, e riuscì a mettersi fuori di tiro dal tremendo rapace.

Le due formiche erano salve.

- Ah! - gridò Grantanaglia. - Io ti debbo la vita!

- E io - soggiunse Gigino - ti debbo un torcicollo, che mi hai fatto pigliare, a forza di tenerti attaccato. Ma non importa. Guarda chi sta peggio di noi! -

E accennò il corpo di Testagrossa, che giaceva a gambe all'aria presso a loro.

- Poveraccia! - esclamò Grantanaglia commosso. - È ridotta una buccia. Quell'infame se l'è succiata tutta, senza discrezione. Badiamo: son due giorni che non si mangia, e il corpo doveva averlo vuoto. Ma - soggiunse l'aiutante di campo con tenerezza - che divenisse tanto vuota a quel modo, come un guscio, non l'avrei mai creduto! -

Nel rimettersi in marcia, l'imperatore Ciondolino si volse al suo compagno serio serio, e gli disse:

- Luogotenente! Hai visto quel signore laggiù dentro l'imbuto?

- Pur troppo! è una larva terribile per noi formiche.

- Benissimo! Quando ne incontrerai qualcun'altra, ti ordino di avvisarmi cinque minuti avanti. Ed ora andiamo! -

 

 

 


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