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La mattina dopo, Gigino, al quale le api riconoscenti avevano assegnato una bellissima camera per passar la notte, si svegliò di pessimo umore, mormorando:
- Maladetta Testa di Morto! Me la sono sognata tutta la notte! Grantanaglia! Ehi, Grantanaglia! Grantanaaaaaglia! -
Il luogotenente che dormiva profondamente si riscosse.
- Finalmente! - esclamò Gigino. - Che maniera è questa di dormire? Un luogotenente, ricòrdatelo bene, non deve dormire che da un occhio solo.
- Io ho fame.
- Ma tu sei insaziabile, mio caro. Ieri sera, durante la cena che ci hanno dato le api, tu hai mangiato per quattro. Bisogna che tu ti corregga, molto più che la mia lista civile non mi permette, per ora, di mantenerti un simile trattamento. -
- Basta. Pensa che stamani dobbiamo visitare il palazzo delle api, e che saremo presentati alla Regina. Alla Regina, capisci? Cerca dunque di stare al tuo posto, e di non farmi scomparire. -
L'idea di esser presentato alla Regina bastò a metter subito Gigino di buon umore.
Egli incominciò a dare al suo luogotenente una grande quantità di avvertimenti intorno alle regole d'etichetta da osservarsi nella solenne cerimonia, e stava insegnandogli un ritornello col quale doveva annunziarlo alla Regina, quando una voce di fuori domandò:
- Amica mia, si può entrare? -
- Mia cara, - le disse Gigino andandole incontro - prima di tutto, bisogna che ti spieghi una cosa: io non sono un'amica.
- Come!
- No: io sono un amico, per la semplice ragione che appartengo al genere maschile, numero singolare.
- E quest'altra formica?
- Un altro amico come me: e tutt'e due insieme apparteniamo al genere maschile, numero plurale.
- Vedendovi senza ali, io vi credevo formiche neutre: vi credevo due buone operaie, come me. -
Gigino dètte in una risata, guardando Grantanaglia.
- Operaie! Capisci, luogotenente? Dolcina ci crede due operaie. Ella non si figura chi siamo noi. Non s'immagina, poveretta, chi sono io. Ma è tempo di lasciare l'incognito. Grantanaglia, presentami! -
Grantanaglia s'inchinò, e disse con voce grave indicando Gigino:
- Ciondolino primo, imperatore delle formiche. -
E Gigino a sua volta indicando Grantanaglia esclamò:
- Il luogotenente Grantanaglia, conte degli Imenotteri, primo ed ultimo aiutante di campo dell'imperatore Ciondolino, essendoché l'altro aiutante Testagrossa se lo succiò tutto ieri sera un formicaleone. -
Dolcina rimase talmente attonita a questa doppia presentazione, che Gigino, vedendo che non capiva niente, credé utile spiegarle come stava la cosa, e le narrò tutta la sua storia di formica reale detronizzata.
L'ape stette a sentirlo, e quand'ebbe finito, disse:
- Senti, weh: siccome io non ho nessun trono perduto né nessuna corona in vista, ho bisogno di lavorare, e perciò se vuoi venire a visitare la nostra casa, ti prego di spicciarti. -
Ciondolino a queste parole rimase un po' male, e naturalmente riversò la stizza sul povero Grantanaglia, al quale gridò con piglio severo:
- Ehi! luogotenente! Che cosa fate, dico? Svelto! Non sentite? Bisogna andar a visitare il palazzo. Andiamo dunque! ci vuol tanto a muoversi? -
Detto questo, uscì maestosamente dalla stanza al fianco di Dolcina e seguìto dal suo aiutante di campo.
Gigino incominciò a maravigliarsi subito all'ingresso che era difeso da certi ripari, che sembravano né più né meno dei paraventi situati alternativamente uno a destra e uno a sinistra, in modo che per passare bisognava andare a zig zag.
- Ma quest'affare - disse la formica - ieri non c'era.
- Infatti, - rispose Dolcina, - è stato costruito da poco, e vedrai che d'ora innanzi le Teste di Morto non entreranno più, a meno che non vogliano strapparsi le ali.
- Una magnifica idea! - esclamò Grantanaglia con ammirazione. E con che prontezza è stata messa in esecuzione!
- Oh per quello facciamo presto... - osservò Dolcina. - Noi abbiamo la cera e la rèsina in corpo, e in quattro e quattr'otto incalziamo dei muri da far paura. -
Intanto i tre personaggi proseguivano nella loro visita, e Gigino si persuadeva sempre più che non si trattava né di una casa come aveva detto Dolcina, né di un palazzo come aveva detto lui, ma di una vera e propria città, una grande città, fabbricata con tutte le regole dell'architettura, dell'igiene e della comodità.
I due caratteri principali delle costruzioni erano l'armonia delle linee e l'economia dello spazio. Infatti l'interno di quella vasta città era formato da tante abitazioni di forma esattamente esagonale, appoggiate l'una all'altra per ogni lato.
- Voi capite benissimo, - disse Dolcina alle due formiche - che l'esagono è l'unica forma che ci permetta di fare entrare in un dato spazio il maggior numero di abitazioni o alveoli, come diciamo noi. Qualunque altra forma ci condurrebbe a un sacrifizio maggiore di spazio.
- È evidente. - rispose Gigino convinto - e voi avete risoluto la questione in un modo ingegnosissimo. Ma come fate a fabbricare tutte queste celle così regolari, così esatte?
- Ecco: quando noi abbiamo stabilito la nostra dimora, sia dentro il crepaccio di un muro, sia nella spaccatura di un vecchio albero come questo, incominciamo dallo distendere la nostra cera sulle pareti interne. Questa cera che trasuda dal nostro addòme, la si fa passare in bocca, la si inumidisce e la si attacca in tante piccole striscie in modo che, essendo noi in molte a lavorare e a darsi la muta, ben presto la parete è ricoperta da un grosso strato di cera, e in questo muro solido e massiccio i nostri migliori architetti, i nostri più bravi ingegneri costruiscono le celle. Volete vedere? -
E Dolcina condusse le due visitatrici in un punto in cui si stavano costruendo nuovi alveoli.
Nella massa della cera alcune api stavano scavando delle piccole buche in forma esagonale: erano le sbozzatrici. Appena sbozzati gli alveoli esse cedevano il posto ad api più esperte, le quali, a forza di pigliar misure, di piallare e lisciare da tutte le parti, riducevano il vuoto a una bella cameretta in forma di esagono, pulita, comoda, elegante.
- E come fanno presto! - esclamò Grantanaglia meravigliato.
- E bene! - aggiunse Gigino con ammirazione anche maggiore sapendo che tra gli uomini far presto e bene raro avviene.
- Peuh! - rispose Dolcina. - Noi possiamo fabbricare in un giorno e una notte fin quattromila celle.
- È un bel fare, - disse Gigino. - Ma devo osservare una cosa. Scusa, sai: queste camere sono lavorate benissimo, ma non sono tutte uguali.
- Si capisce! - esclamò Dolcina. - Queste sono le celle destinate alle uova, dalle quali usciamo noi api operaie, cioè neutre come voi due.
- Noi non siamo neutre! - gridò Gigino indispettito. - Ti ho già detto che siamo maschi.
- Ah! me n'ero scordata! - soggiunse l'ape con aria canzonatoria. - Poi vi sono le celle un po' più grandi destinate alle uova dalle quali nascono i maschi... i maschi veri, capite? E in ultimo vi sono le celle per le uova che producono le femmine, e quelle sono tonde, grandi, bellissime perché le nostre femmine sono destinate a esser regine.
- Come, come! - esclamò Gigino. - Regine? -
E su questo argomento avrebbe voluto domandare una serie infinita di spiegazioni, ma proprio in quel momento si trovò di fronte a una montuosità di forma curiosa, e si fermò.
- O questo?
- Questo è il corpo della Testa di Morto, cioè di quella farfalla che tu hai sconfitto, e che noi, non potendola trasportar fuori, abbiamo imbalsamato qui, per impedire che marcisse e che ci appestasse l'aria.
- Imbalsamata! - esclamò Ciondolino osservando quel corpo duro attaccato al terreno. - Come sarebbe a dire?
- Sarebbe a dire che noi, oltre il miele e il pòlline che raccogliamo dai fiori per dar da mangiare alle nostre larve, oltre alla cera che trasudiamo e che ci serve per fabbricare l'alveare, abbiamo anche la gomma, una gomma potentissima, che ci serve come materia da costruzione e anche a seppellire e mummificare gli insetti grossi che vengono ad assalirci. -
E qui Dolcina condusse le due formiche in un'altra parte dell'alveare, dove mostrò loro una grossa chiocciola:
- Vedete? Con questa, che era entrata nel nostro villaggio, abbiam fatto più presto: con un colpo di pungiglione l'abbiamo fatta ritirar dentro il guscio, e poi con la gomma abbiamo attaccato tutto in giro il guscio al terreno, in modo che è rimasta seppellita dentro la sua stessa casa. -
Gigino e Grantanaglia erano meravigliati non solo della potenza, ma anche della prontezza dell'ingegno di questi insetti, e stavano per esternare la loro ammirazione, quando a un tratto si udirono tre ronzii cadenzati come un segnale di tromba, e Dolcina esclamò: