Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Per la più grande Italia
Lettura del testo

La fiamma intelligente

Commiato al patto marinaro e lincenza agli interpreti

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

Pactvm sine nomine

Commiato al patto marinaro

e licenza agli interpreti

*

Nel sesto anniversario

dell’impresa di Buccari: 10-11 febbraio 1924

Alcuni dei più acuti tra i nostri armatori, avendo consentito graziosamente a ribattezzarsi per me «Partenevoli» e a disputare di questo Patto marino con me in riva a un lago mal navigato, si meravigliavano ch’io fossi tanto esperto nel primo e nel secondo turno del maggiordomo a bordo, per adoperare i vecchi termini italiani, e in tutti gli uffici del maestro di razione e del maestro di stiva, e magari del servizio di mozzo sopra coperta e sotto coperta, ed altri utili «servigetti», come direbbero i nostri vecchi lupi di mare nel loro vecchio linguaggio ch’io so e di saper mi vanto.

I sottili miei disputatori attoniti mostravano di credere che bastasse l’odor forte della stiva a dissipare in me tutte le essenze ideali e a torcere il mio muso delicato, come se io marinaro schietto e non letteratuzzo vano potessi mai confondere la stiva con la sentina e magari con la zavorra.

E, pur di recente, io sono stato rimesso con fraterna malizia a spulciar rime da un eroe bene approdato che mi fu compagno in una famosa astuzia navale e che non può ignorare come, in materia di rime, io da tempo non pratichi se non quella per la quale passa la testa del timone, chiamata dai vecchi «losca».

Io per contro son certo e riaffermo che questo tanto travagliato Patto è vivo e vivace perché nel suo proemio e nei suoi capitoli riesce appunto ad accordare la più insigne tradizione col più animoso avvenire e la più alta aspirazione con la più ignuda realtà.

E chi può oggi negare che il Capo del Governo Nazionale e il grande suo Commissario e gli Armatori di buona fede e i Marinai federati di buona volontà abbiano tutti cooperato a compirlo? Non per grazia e per gioco di parola io lo chiamo «pactvm sine nomine» e me medesimo compilatore io chiamai «uomo senza nome servvs servorvm Patriae» nella iscrizione di una colonna commemorativa non ancor consacrata. S’io pensassi di meritare una qualunque lode, sarei contento di quella che a un altro buon cronista «di pura fede e favella» diede il rimatore del «centiloquio»,

e giovanni villan, pemercatanti

compilatore fu dritto e leale.

Si può sorridere, e posso anch’io sorridere, di questa mia manìa erudita nel risalire e nel ridiscendere i secoli e i secoli dei secoli a ogni occasione. Ma questa che sembra innocua manìa alla gente gaia, e grave, è una mia vasta forza. Io sono un Italiano ben nato che in ogni vibrazione del suo spirito e in ogni brivido della sua midolla vive e rivive tutta quanta la vita della razza, dai più lontani miti italieti alla più fresca de’ miei discepoli giovanetti.

Per ciò della bontà profonda di questo Patto io sono mallevadore legittimo, davanti all’antica e alla nuova e nuovissima Italia. Esso nacque con una ossatura che parve rigida; ma a poco a poco, di contatto in contatto, di esperienza in esperienza, di prova in prova, prese le linee flessibili della vita sanguigna, s’ebbe la virtù elastica delle creature potentemente vive. Nessuna controversia può lederlo, ed esso può in sé trattare studiare sedare comporre ogni controversia.

Nel capitolo terzo non è dunque statuita «una autorità giudiciale eletta per accordi e per suffragi a definire con arbitrato la differenza»? E negli altri capitoli non è inalzata la dignità del «Collegio arbitrale»? E più d’una volta non io mi ricusai pubblicamente di concorrere alla interpretazione pratica di essi capitoli dichiarando che soli interpreti possano e debbano essere le parti, in accordo e in conflitto?

Ora io dico che in questo Patto vige tuttavia lo spirito di quel Consolato del Mare disposto «così a beneficio dei marinari come di mercanti e patroni di nave e navilli».

Questi capitoli sembrano continuar la collana di quelli che primamente, nell’anno della incarnazione di Cristo 1075, a calen di marzo, «fur concessi in Roma in san Giovanni in Laterano e giurati da Romani d’osservargli sempre».

L’antichissimo caso non è oggi per Italiani adunati in Roma un grande augurio?

E dei capitoli io so tutta la storia, e so quando e so come furono in Acri, in Maiorica, in Pisa, in Marsilia, in Rodi, in Morea, in Messina, in Costantinopoli, in Genova, e altrove. E so che in Genova, nell’anno 1186 furon concessi nella potestà di sei anziani «i quali giurorno al Capo del Molo osservarli sempre».

Ma per la Buona Causa, ma per il giusto patto, in questo anno, «al Capo del Molo» noi non abbiamo temuto di consumare anche sacrifizi umani.

Ed è un segno luminoso questo: ch’io abbia ripetuto, or è alcuni giorni, ai marinai d’Italia e a tutti gli Italiani, nell’esortarli al sacrificio, la parola del paziente e costante messia delle Indie mahatma Gandhi «prigione degli oppressori», e che in questi giorni il messia della totale abnegazione taciturna alla Buona Causa sia alfine liberato.

Nella pace come nella guerra domina e trionfa la sentenza che fu predicata alle reclute del ’99 sotto un argine del Piave, davanti alla vittoria dall’ali mozze e dai piedi logori: «Nessun potere, né divinoumano, uguaglia il potere del sacrificio; che si precipita nell’oscurità dell’avvenire a suscitarvi le nuove imagini e l’ordine nuovo».

Giova che, nell’ora delle difficili deliberazioni, tutta la forza spirituale degli eventi e degli eroi s’inarchi sopra le coscienze ansiose e penose. E giova che la solennità non allontani le più lievi reminiscenze umane né il sorriso confidente. Forse, a questo proposito i «Partenevoli» non hanno dimenticato alcuna grazia della mia ospitalità in questo Vittoriale dove, fra tante colonne scolpite e incise, i miei morti sono le mie colonne invisibili.

Certe ordinazioni del Principato di Catalogna sopra le Entrate e le Uscite sembrano nell’ultimo capitolo confermare quel che già scrissi degli interpreti di questo Patto.

Se in alcuno dei capitoli appariscano alcune cose scure, o dubbiose, adesso o dopo, la detta corte ordina che «i deputati e autodittori dei conti possano quelle dichiarare, correggere, emendare, interpretare tante volte quante sarà bisogno o veramente lor parrà».

Così la saggezza antica – quella del 8 ottobre 1841 – a quella del 13 febbraio 1924.

La data, forse fausta, forse infausta, secondo le credenze, è risospinta di da quella del sesto anniversario di una impresa navale condotta da quel grandissimo marinaro che è oggi Commissario per la Marina Mercantile.

Eravamo trenta «su tre gusci, su tre tavole di ponte»; eravamo carne del Carnaro e anima della sanguinosa Italia, comunicati «con un’ostia tricolore».

Piace a me sorridere o ridere per incantare il destino e anche per ingannare quell’angoscia che un de’ miei padri lupi chiamava «l’affanno del mare e l’affanno della stiva e del carico che suso vi si carica».

Per ciò traggo il buon presagio dal nome di un marinaro del «secondo equipaggio»: traggo il buon augurio da un marinaio scelto di Favignana, chiamato «Salvatore Genitivo».

Ecco che col suo nome egli parla per tutti i complici e umili marinai d’Italia. E non importa il bisticcio; che è pure un giuoco o sforzo d’ingegno italianissimo.

Ogni marinaio, «scelto» per la sua vigoria per la sua perizia e per la sua disciplina, non è forse un salvatore del domani?

E sia concesso che il grammatico ricordi sorridendo come latinamente il «caso genitivo» fosse anche chiamato patrio.

Così l’arguzia di Buccari operi da «ostia tricolore» nella comunione dei fedeli dall’Italia.

Il Vittoriale, 11 febbraio 1924.

gabriele d’annunzio

Ed ecco le condizioni essenziali dell’accordo:

I. Il contributo dei marinai federati, che ha nome antico e recente di significato spirituale e di fraterna comunanza «Provvisione di benefizio», sarà obbligatorio nella misura del 2%.

Ma puramente volontario, nella misura del 3%, sarà quello destinato alla Compagnia cooperatrice «Garibaldi».

E sarà nei contratti di arrolamento inscritta la formola riguardante l’uno e l’altro contributo, concordata e statuita.

E dell’impiego socialmente benefico di esso denaro sarà data guarentigia onorevole.

II. Sarà interamente osservato l’impegno, assunto dal Regio Governo, di non sottoporre a nuova discussione i «Regolamenti organici» che determinano il servizio degli addetti alle Compagnie di navigazione.

Essi regolamenti non potranno in ogni modo essere rifusi se non quando sia superato il disagio economico che tuttavia travaglia la nazione; e ogni ritocco sarà fatto con largo spirito di equità verso gli addetti e non con l’intento di menomarne il diritto acquistato.

III. Perché il patto primitivo, fermato fra il Capo del Governo e il Comandante Gabriele d’Annunzio, non sia in alcun modo violato o deluso, si considera disciolto il Consiglio consultivo allora eletto; e si statuisce che ogni richiesta degli Armatori, nei riguardi dei Navigatori e anche degli Amministratori marittimi, e ogni controversia fra gente di mare lavoratrice e datrice d’opra, sia sottoposta all’esame di una autorità giudiciale eletta per accordi e per suffragi a definire con arbitrato la differenza.

IV. Nelle linee marittime percorse con sovvenzione dello Stato e nei servizii transatlantici non liberi, gli addetti alle manovre di bordo o alla cura delle spese, se licenziati per infermità o per vecchiezza o per mancanza di officii, avranno diritto a una indennità equamente stabilita dal collegio arbitrale sopra mentovato, all’infuori dei loro istituti di previdenza.

V. Nei modi più opportuni e nel tempo più breve saranno restituite alla «Garibaldi» le somme di credito verso lo Stato; e a questa medesima Compagnia cooperatrice sarà agevolato l’acquisto delle navi-cisterne alla Regia Marina superflue.

VI. Tenendo per fermo che nel tempo della santa guerra ogni varietà di naviglio da traffico, senza eccezione, incorse in tutti i pericoli dei mari insidiati e che nessuna ricerca vale a determinar certamente le «cause ignote» per cui tante navi disparvero, saranno alfine concesse alle famiglie dei marinai in servigio su i due piroscafi italiani «Luigi Parodi» e «Gaspare» le giustissime indennità da troppo tempo attese nell’afflizione e nella miseria.

VII. Il collegio arbitrale sopra mentovato provvederà a regolare i turni degli imbarchi, considerando tutti i vantaggi del buon servizio per la buona nave nella buona rotta ed evitando qualsiasi esclusione persecutrice e qualsiasi privilegio odioso a danno della gente marina d’ogni mestiere e d’ogni comando.

A queste condizioni fondamentali del fraterno accordo giova aggiungere – nel nostro modo latino, religioso più che superstizioso – l’augurio unanime

che la lunga costa italiana fertile d’uomini e d’opere sia per essere come un tempo tutta la Liguria «un solo cantiere»

e che agli Italiani liberi sia rinnovato il titolo di gloria già a essi conferito dall’antico cronista Jean d’Auton: «I re del Mare».

Per i Marinai e per gli Armatori e per tutti gli Italiani di buona fede e di buona volontà

gabriele d’annunzio


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL