Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Primo vere
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1. Preludio

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1. Preludio

Va il bruno cammelliero pevasti deserti d’Arabia:

stendonsi l’arene fulve ondulate innanzi.

Il sole gli saetta le fiamme maligne sul capo,

gli brucia a’ polsil sangue, gli empie di giallo gli occhi.

Ghignano per la via orribili teschi insepolti

tra le candide tibie, tra le ricurve coste,

teschi di schiavi neri morti in feroci agonie,

a la solitudine muta imprecanti invano.

Cercavan cercavan con l’occhio languente via lunge,

cercavan essi palme da le benigne chiome;

rivoli d’acque vive il labbro riarso anelava:

via lunge non altro che arene nude e sole!…

O cammelliero bruno, — e’ pare che ghignin que’ teschi

non val che t’affatichi: questo destin t’attende! —

Va il bruno cammelliero, va, va; uno stanco disìo

ne ’l cuore ei sente de le dolcezze antiche…

Oh Namuna, Namuna, la fulgida figlia di Nagdo,

da li occhi di gazella, da ’l refluente crine!…

Oh i dolci colloquî, tra gli alti palmeti di Gada

ne’ plenilunii bianchi, ne’ bei tramonti d’oro! —

Va, va: il cammello spossato rallenta la corsa:

sole sopra il capo, arene arene innanzi.

Oh, Allah è grande!… — All’occhio riarso ecco ride

colieti verdi una vicina oàsi,

ove slanciansi palme superbe di fronde e di frutti,

e mille fiori vividi s’intrecciano;

ove augelli mescono canzoni di gioia e d’amore

e scorron freschi rivi con mormorii suavi;

ove gazelle gentili si pascono a l’ombre

e insetti a torme brillano com’iridi.

L’occhio abbagliato su’ molli color si riposa

e placida frescura per l’arse vene scorre…

Va il bruno cammelliero ridesto; e men lungo il viaggio

a lui sembra, men dura la via, men igneo il sole.

Tale, Musa divina, se volgi benigni i grandi occhi,

di gioie un’iri brilla a me nova in cuore;

a me fantasimi lucidi ridono in festa

per cieli di cobalto, per incantati mari,

ove perdonsi lente con l’aura le nuvole d’oro,

ove le vele bianche perdonsi lente via…

E tu salve, o mia diva!… Goda altri de ’l verso che russa

ne le canzoni grasse da la languente rima;

a me la strofa breve concedi, che balza, rilutta,

e freme domata sotto la forte mano.


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