Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Primo vere
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Libro primo

6. Palude

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6. Palude

Ad Enrico Seccia.

Pigra, limosa, fetente, coperta di dense gramigne,

la vasta palude sogghigna in faccia a ’l sole.

Il sole rifulge cocente tra candide nubi:

sol pochi alberi in cerchio stendono un’ombra ignava.

A stormi innumeri su’ turpi carcami marciti

con larghe ruote calan gracchiando i corvi:

il bufalo guata muggendo a’ rossicci orizzonti:

ne ’l volo audace toccan le nubi i falchi.

Unica dea, la Febbre, su l’ali giallastre gravando,

va lenta lenta giù pelugubri piani.

Su da le livide acque per entro a le fosse ed a’ solchi

pregno di veleno sale un vapore e fuma,

fuma e s’annida ne’ bronchi, s’infiltra ne ’l sangue,

il cerebro schiaccia, mette ne l’ossa il gelo.

I mietitori curvi su la mortifera terra,

falcian le pingui messi, stringon le grosse biche.

Con strazî orrendi la fame, la fame li sprona

a l’aere maligno, a le fatiche dure…

Lasciano i vecchi adusti, le madri cadenti, le mogli,

i bimbi che piangono tra le carezze e i baci:

lascian le tenui case lassù fra le libere balze,

ucoselvaggi fiori la primavera ride:

lascian la lieta vista de ’l cerulo mare tra’ pini

ne l’albe fredde, ne li occasi rutili;

e traggono, e traggono qui co’ la falce e col ronco

a mille a mille per guadagnarsi un pane!…

Quivi non dolce canto di lieto augello a ’l tramonto

rompel silenzio lungo, rallegra i mesti cuori:

i patrii stornelli non balzano quivi da ’l petto

con i giocondi suoni d’amore e di speranza,

e se una giovin voce lontana solleva una nota

che rimembri le gioie presso a ’l materno lare,

in quella nota stanca tu senti tremare il disìo

d’una soave speme che a poco a poco muore.

Qui tra l’erbaccia densa, tra i pallidi fiori, su l’acque

le serpi strisciano, s’attorcon sibilando;

e, maligno qual serpe, da’ petti immiti trabocca

l’odio gigante: le bestemmie scoppiano,

mentre l’augure vento tra l’arse alberelle e le spiche,

Surgete, o genti! — sembra talor che frema.



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