Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Primo vere
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Libro primo

8. A Firenze

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8. A Firenze

Seduto qui tra ’l susurrio de l’aure

sotto quest’alto pino,

in faccia a’ colli, a la marina cerula,

a ’l tramonto divino,

da ’l cor ti mando questo grato cantico,

o Firenze lontana,

e dietro a lui fremente slancio l’anima

ad una ebrezza strana.

Come una schiera di loquaci rondini

le strofe mie gentili

verranno a riposarsi su le cupole

e sopra i campanili;

e poi tutte comprese da’ tuoi fascini

in folleggiante coro

ti diranno per me con dolce eloquio:

O Firenze, t’adoro! —

Quanti ricordi ne ’l mio petto susciti

col tuo nome soltanto,

o regina de l’Arno, o mia florivola

inspiratrice al canto!

Quanti ricordi di possenti palpiti

e di sognati amori,

di illusïoni care, di delirii,

e di superbi ardori!…

Che bei momenti sotto le marmoree

volte di Santa Croce,

presso l’urne de’ Grandi ove pareami

d’udir spesso una voce,

mentre passavan mille raggi tremoli

pevetri istorïati

a rompere l’orror de l’ombre mistiche

sotto gli archi slanciati,

e l’organo gittava ne gli spazii

le vaste onde sonore

come un inno di gloria a l’Invisibile,

come un inno d’amore!

O tesori de l’Arte, o grandi immagini

d’una gloria fuggita,

davanti a cui co’ l’alma in grembo a’ secoli

io passerei la vita,

ridite voi le mie feconde lagrime

ed il fremito altero,

tutte le febbri generose, e gl’impeti

audaci de ’l pensiero!…

Erano belli, o mia Fiorenza, i taciti

meriggi su’ tuoi campi,

quando a ’l flagrante solleon splendeano

tutti i vetri di lampi,

ed io correva insiem co’ le libellule

fra la messe matura,

e m’esultava a’ polsi il sangue fervido

in faccia a la Natura!

Da le vette di Fiesole su ’l vespero

sovente io t’ho mirata

tutta distesa ne la valle florida

come sognante fata:

ti salutava il Sol cobaci rosei,

corisi di viola,

con quell’arcano e prepotente fascino

che sfugge a la parola;

cantando gli stornelli in schietto eloquio

passava una villana

da’ fianchi baldanzosi, da le guancie

color di melagrana;

venian da lunge mille blandi effluvii

e gorgheggi d’augelli

con certe ondate larghe che fremeano

ne’ miei folti capelli;

ed io pensavo a tante cose splendide

lento sfogliando un ramo,

e riguardando il Campanil ch’ergeasi

svelto, come un ricamo…

Erano belle le tue notti limpide

ne ’l sorriso de’ colli,

mentre la luna spargeva tra gli alberi

splendori ed ombre molli,

e l’Arno bisbigliava insiem co’ l’aure

un colloquio leggero,

mesto come sospir d’amante, armonico

quale un canto d’Omero!

Surgëano a l’azzurro ciel le cupole

de’ templi maestosi,

le torri foscheggianti, gli antichissimi

palagi paurosi,

le statue ne ’l chiarore s’animavano

sopra la base immota,

mentre un tremolo canto dileguavasi

per una via remota,

e da’ felici giardini spandeasi

un provocante odore,

ed io pensavo all’Alighieri e all’estasi

de ’l suo sublime amore,

quando i guerrier reddìan da le vittorie

co’ i gonfaloni avanti,

tra le corone, i cantici de ’l popolo,

le musiche festanti,

e dai dômi marmorëi salìano

gl’incensi e le preghiere

per la salute de la gran Repubblica

contro l’armi straniere;

quando a ’l bel sole de ’l fiorito maggio

di sotto a’ padiglioni

coronati di rose i lieti giovani

mesceano gl’inni e i suoni,

in ordin lungo le ridenti vergini

di mirto redimite

ivan danzando per le piazze splendide

per le strade gremite,

ed in mezzo a’ clamori ed a gli strepiti

de ’l popolo esultante,

Ov’è il disìo de gli occhi miei? — la giovine

Musa cantava a Dante.



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