Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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Libro secondo

21. A Bacco Dionisio

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21. A Bacco Dionisio

NEL MUSEO ARCHEOLOGICO

DELLA MARCIANA IN VENEZIA

Guidasti, splendido Nume, le fervide

ridde pe’ gli ardui monti di Tracia

de l’irte Menadi tra’ rauchi ululi,

a ’l fragore de’ cembali?

o pure a ’l murmure roco de’ rivoli

a ’l dolce fremito de’ mirti dorici

godesti un languido sonno su ’l turgido

sen de la gnossia vergine?

Or da un arboreo tronco la nebride,

pende: a te i pampini verdi ricingono

la chioma: e inconscio guardi da ’l lucido

fulcro le statue immobili.

Intanto un rigido britanno il tumido

naso purpureo solleva attonito,

e con la nitida lente ti sbircia

mostrando i denti sordidi;

la donna isterica ti fa la smorfia;

ed il pacifico crasso canonico

vede le candide nudità e volgesi

con un rossore ipocrita…

Evoe, Libero!… Tu sei lo Spirito

lieto degli uomini; sei ’l fausto Genio

in mezzo a fulgidi lampi di gioia

traversante pesecoli.

Evoe, Libero!… Dagli ampi délubri

lungi eran l’algide preci e i misterii;

tra le marmoree pile brillavano

rosseggianti le fiaccole,

liete per l’aere sacra inalzavano

festivi cantici l’ismenie vergini,

mesceva il cembalo sue note stridule,

i pingui incensi olivano,

e giù da li orridi boschi di frassini,

da’ colli floridi, da’ campi spicei

ratte scendeano mille Bassaridi

con strepiti e con ululi:

portavan fluide vesti purpuree,

a ’l capo aveano serti di pampini,

tigrate ed ispide pelli su gli omeri,

in man spade fulminee,

e intorno a ’l tempio pulsavan timpani,

guidavan rapide carole in cerchio,

e insiem coglilari cori di satiri

rudi carmi cantavano:

Evoe, Libero! eterno giovine

a cui su ’l nobile capo virgineo

due corna brillano! Evoe, Bromio,

dator di gioia agli uomini!

Gloria a l’indomito figlio di Semele

che vien su ’l fulgido carro d’avorio!

A ’l sole ei simile per noi rifolgora:

incoroniam le patere!… —

E Febo Apolline cingeva il délubro

di fuochi rosei: spirava l’aere

divini balsami: lunge gli strepiti

insiem covènti andavano;

e sopra l’asino venìa l’amabile

Silen tra’ lepidi giochi de’ Fauni,

venìa su ’l pineo baston reggendosi,

ed agitando il calice:

Mescete, o Menadi, l’umor de ’l Libero!

Dentro una patera di vino lesbio

morire io voglio! Mescete, o Menadi,

fino a l’ultima gocciola!… —

Or da un arboreo tronco la nebride

pende: a te i pampini verdi ricingono

la chioma: e inconscio guardi da ’l lucido

fulcro le statue immobili!


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