Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Primo vere
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Studii a guazzo

39. Pellegrinaggio

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39. Pellegrinaggio

Sta il meriggio fiammante su l’aride stoppie, ed i poggi

umili digradano giù cofilari d’ulivi,

con le tinte giallastre qua e , con le creste ondulate

ed i gruppi di case che fuman tranquille ne ’l sole.

Da l’aie solitarie si chiamano i cani latrando,

ed il suono propagasi triste per l’afa via lungi

rotto come a singulti… Che dicon que’ poveri cani?

Si lagnan de la fame che batte a’ lor fianchi scheltriti,

poveri vecchi cani da l’aride lingue pendenti?

O lancian strofe anch’essi di noia, di rabbia, d’amore?

E la strada prolungasi dritta monotona gialla,

con i mucchi di selci da’ lati giù a perdita d’occhio,

e vanno vanno vanno comagri cavalli a fatica

i carri de’ ciociari, coperti di ruvide tende;

in lunga fila vanno a ’l tin-tin de’ sonagli, a’ beritmi

de le canzon natie, de gl’inni a la Vergine bruna

vanno. Le montanare col candido lino su ’l capo,

ne’ corpetti vermigli frenanti le gioie de ’l seno,

ne le gonnelle brevi che seguon le curve de’ fianchi,

mescon le voci limpide in note lunghissime, a cui

da l’altro carro in coro rispondono gli uomini. E vanno,

vanno: il sole da’ cieli deserti le fiamme saetta;

fastidïosa polvere s’alza a far bianche le siepi

tra cui dritta monotona gialla s’allunga la via.



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