Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Primo vere
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Idillii selvaggi

46. I Lucertole

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46. I
Lucertole

Ricordi? Fiammeggiava il meriggio di giugno maturo

su le mèssi biondissime

mobili susurranti a ’l lïeve scirocco un giocondo

pispiglio carezzevole.

Noi sedevamo insieme ne l’ombra d’un pàtulo faggio

ove cantavan querule

cicale: il canto stanco allungavasi lungi ne ’l sole

come il tuo sguardo, o Nemesi,

come il tuo nero sguardo ne ’l sole divino che i poggi

verdi in fondo e le giovini

vigne empiëa di nozze, ed il piano flavente n’empiea,

folgoreggiante pronubo.

Cinque falchetti in alto mescevan le strida ed i giri;

le rondini fuggiano

in frotte; e quando a tratti tu il capo levavi a ’l clamore,

io ne ’l collo fidiaco

ratto le labbra calde figgeva e su ’l pario candore

note rosee lasciavati.

Le orchidëe salivano intorno comiti profumi

rosse, turchine e candide:

io cogliendo le rosse godeva intrecciartele a ’l crine,

a ’l crine, o bianca Nemesi,

nero, da beriflessi di seta, fluente in anella

giù pel seno e pe’ gli omeri.

Tu dai dentini bianchi di vipera un riso di fata

ridevi e ti fiorivano

su le labbra parole leggiadre, ne ’l tenero cuore

voluttuose immagini

fiorivanti. I falchetti strepean; due bianche farfalle

s’inseguìan da’ papaveri

a ’l grano. — O Sole, pronubo fulvo, di gioia datore,

sacro a gli aedi, a’ pampini

caro, m’odi: se mai canzoni di gloria a’ meriggi

ti dissi, e a’ vespri placidi

meste elegie suavi, deh l’ala de ’l tempo fuggente

tu indugia, e de ’l più fulgido

tuo raggio i nostri arridi purpurei amori! — Arrideva

il gran Sole bellissimo

ne l’ cobalto de ’l cielo; su i colli natavano lente

ad austro quattro candide

nuvole. Io su le mie ginocchia ti trassi, e guardava,

o Nemesi, guardavati

il seno palpitante tra i veli — oh misteri divini

di voluttà! — guardavati

l’anche opime, un trionfo di curve; le coscie ritonde

guardavati, che elisii

prometteano di gioie. E le mani proterve frementi

tentavan la virginea

zona; tu, repugnante invano, cedevi a la febbre

che la carne scorreati

ardendo: conscio il grano ondeggiava, i papaveri rossi

fiamme intorno pareano

vive… D’un tratto un forte fruscìo ne la siepe vicina

s’intese: un acutissimo

grido gittasti, o Nemesi, come ferita ne ’l cuore,

lungi fuggendo, trepida

fra ’l gran fuggendo. Intorno, a la siepe, commosso, stupito

io guardava: sbucarono

tante verdi lucertole ratte sparendo tra l’erba…

Poi risa alte sonarono.


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