Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Primo vere
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Idillii selvaggi

47. II Vogata

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47. II
Vogata

Deh, com’è bello il fiume tra i caldi scarlatti e le nubi

evanenti pel vespero!

Ne la veste turchina che prodiga assente a le forme,

come sei bella, o Nemesi!

Va la piccola barca ne l’acque veloci che vezzi

d’oro e rubini paiono

travolvere; da riva giù in fondo si specchiano i pioppi,

come verdi fantasime,

tremulanti a la vasta canzone che dentro ci canta

il vento. O bianca Nemesi,

canta anche tu l’estrema canzone a l’occaso di luglio

fiammeo! Canta, o bellissima

rematrice, a la rosea figlia di Giuno il peàna,

e le note via striscino

come colùbri a l’aure, vibrino, balzino, folli

come trilli di passere,

a l’aure: i muti pesci da l’ime dimore verranno

a udire. Va la piccola

barca più lenta; i pioppi dileguano glauchi accennando

e dileguano gli ultimi

fumi caldi ne ’l cielo con tenui risi d’opàle,

con occhiatine languide

di perla, con sbadigli di talco per l’alto. Due bruni

uccelli su da un mucchio

di canne ratti a volo si levan frullando. La barca

in acque verdi naviga;

e mi naviga l’anima in plaghe lucenti; sereno

mi scorre il pitïambico

flessuoso. Lasciamo che il fiume su ’l dorso ci culli,

bianca ondina, e tu lascia

ch’io su ’l petto ti culli, su ’l petto fremente piacere!

In questa solitudine

ampia d’alberi e d’acque non siamo noi i giovini genii

felici de’ selvatici

amori? noi che risa, che baci, che canti, che sogni

mesciamo ne ’l crepuscolo?



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