Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Primo vere
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Idillii selvaggi

52. VII Addio

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52. VII
Addio

Addio!… Passano passano a frotte le nubi col vento

fosche, di piombo; paiono

ignoti pellegrini cui ’l Fato implacabile inconsci

via per la solitudine

muta, fredda, infinita sospinge. Dileguano i campi

in lontananze grigie

verso occidente, ai monti velati di nebbia. La diva

Gea dorme. E voi, purpurei

amori, voi pur tenta il suave Morfeo, voi pure?…

O forti pitïambici

che da ’l cuor balzavate fremendo, ridendo, squillando,

come un pugno di Menadi

da una rupe; che via pecampi, a’ meriggi flagranti,

come un pugno di Satiri

inseguivate Nemesi bianca tra ’l grano; o miei forti,

o miei fidi, per l’ultima

volta, ecco, io vi disfreno, per l’ultima volta!… Que’ pioppi

a cui tante cantavano

ebbre canzoni i vènti tra ’l viride crine, or che dicon

fra loro? Non son gemiti

quelli? E tu, faggio immane, che conscio accoglievi ne l’ombra

il poema selvaggio

de’ nostri folli amori, begli inni di gloria levando,

grandi inni, e tu che brontoli?

quali strane bestemmie tu gridi?… Giallognolo il fiume

scorre con rochi murmuri.

Dicono l’acque: — Dormi: che giova il rimpianto? che vale? —

Cricchian le foglie: — Perdere

il senso de la vita, volare ad incognite plaghe,

lontan lontano, inconscie

volare!… — E sia: sonnecchia, o mio cuore superbo, indomato;

qui ne ’l petto sonnecchia

come un tasso ne ’l covo! E tu, cèrebro ignivomo, brucia

a le gaie caleidi

l’ale! E tu stagna, o fervido sangue, com’acqua ne ’l fosso,

tu stagna entro l’arterie!…

Addio!… Passano passano a frotte le nubi col vento

fosche, di piombo; ghignano

gli alberi come spettri; la notte profonda mi copre…

Addio, o bianca Nemesi!



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