IntraText Indice: Generale - Opera | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText | Cerca |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
[DA A. TIBULLO]
Altri dovizie immense con l’oro flavente s’ammassi,
e campi innumeri tenga solcati a ’l sole:
a lui tormenti l’alma terror de ’l vicino nemico;
squilli di marzie tube rompano i sonni a lui.
Purché di tenue vampa mi brilli ’l domestico lare,
me a queta vita la povertà conduca.
Oh alfine, alfine io posso viver contento de ’l poco,
né dato sempre a ’l vïaggiar sì lungo;
ma sotto l’ombre verdi sfuggendo a gli estivi calori,
ma presso un rivo d’acque leni-fluenti via.
Non pur talora mi spiaccia tenere il bidente
o con lo stimolo spingere i tardi bovi;
non mi rincresca l’agnella ed il parto sperduto
di madre immemore pur ricondurre a casa,
e a ’l tenue gregge voi, ladri, voi, lupi, indulgete:
da grossa mandra giusto è carpir la preda.
Qual villico industre, le tenere viti ed i pomi
pianterò io stesso ne la stagion matura.
Né la Speme fallisca, ma sempre gran copia di frutti
ne conceda, e di pingui mosti ricolmo il tino.
Perché io la venero, e il ceppo negletto ne’ campi
e l’erma ne ’l trivio di grati fiori onoro.
O bionda Cerere, a te da le nostre campagne
di spiche un serto fuori de ’l tempio penda;
custode rubente, ne gli ùberi orti s’innalzi
Prïàpo co’ la falce ad atterrir gli uccelli;
e tutti i doni che l’anno novello m’edùca,
gustati, io li pongo ’nanzi a ’l campestre Nume.
Voi pure, un tempo di campo felici custodi,
voi pur recate i vostri doni, o Lari.
Allora una vitella lustrava infiniti giovenchi:
ora un’agna è vittima grande pe ’l picciol suolo.
Per voi cadrà un’agna; e intorno la rustica gente,
— Oh viva! — acclami. — Mèssi e buon vino date! —
Io qui co ’l mio pastore purifico ogni anno i maggesi,
sparger di latte io soglio la veneranda Pale.
Deh! assistete, o Iddii, né i doni di povera mensa,
né gli umili vasi, propizii Iddii, spregiate!…
Il vecchio villano pe ’l primo le tazze ed i vasi
da facile argilla pur lavorando trasse.
Non io le dovizie de ’padri, ed i frutti vi chiedo,
i frutti che la mèsse recava a l’antico avo.
Tenue mèsse a me basta; mi basta posare su ’l letto
e ristorar le membra su ’l consueto toro.
Oh com’è dolce udire i fischi de’ vènti giacendo,
e stringere la bella teneramente a ’l seno,
o, quando l’Austro porta d’inverno le gelide pioggie,
a crosci monotoni dolci sonni dormire!…
Questo a me caglia: sia ricco a ragione colui
che le furie de ’l mare soffre e gli orrendi nembi.
Piuttosto tutti gli ori periscano e tutte le gemme
che me lontano qualche fanciulla pianga.
S’addice a te, Messala, per terra e per mare far guerre
perché la magion tua s’orni di spoglie ostili.
Me tengono avvinti i lacci di bella fanciulla,
e siedo, qual portiere, ’nanzi le porte dure.
Non io la lode curo, mia Delia: mentre son teco
mi chiamin pur codardo, pigro mi dican pure.
Deh! ch’io te veda ne l’ultimo istante di vita,
te ch’io morendo stringa con la languente mano!…
Tu piangerai; e a me steso in funebre rogo
misti a tristi lagrime darai gli estremi baci.
Sì, piangerai: non sono di ferro cerchiati i precordii,
ne ’l tenero cuore non v’ha la selce dura.
Da quell’esequie non giovin, non vergine pia
potrà co ’l ciglio asciutto a la magion redire.
Rispetta i Mani allora; ma indulgi a ’l tuo crine disciolto,
a le tenere gote, o Delia bella, indulgi!…
Mesciam gli amori intanto, finché ce ’l permettano i fati;
avvolta di tenebra presto verrà la Morte;
presto verrà Vecchiezza, né i fervidi incendii d’amore
né le molli lusinghe saran d’un bianco crine.
Or Venere imperi su noi co’ suoi risi lucenti,
ora che a romper usci ed a rissar siam pronti.
Qui io soldato e duce!… Voi, trombe ed insegne, correte
lungi, a gli avidi uomini, su, portate ferite,
ricchezze portate. Io lieto d’un umile gruzzo
disprezzerò i ricchi, disprezzerò la fame.