Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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58. VI A Valgio

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58. VI
A Valgio

[DA ORAZIO]

Non sempre l’acque giù da le nuvole

lavano i brulli campi, od il Caspio

flagellan tempeste ineguali;

né su’ gioghi de l’Armenia indura,

amico Valgio, inerte il ghiaccio

eternamente; né l’aspro Borea

le quercie garganie affatica

e i frassini vedova di frondi.

Tu ognora stanchi col metro flebile

Miste rapito; né gli amor cèssanti

o Vespero surga ne ’l cielo

o via fugga da ’l veloce Sole.

E pur quel vecchio di ben tre secoli

non sempre pianse il caro Antiloco,

Troilo imberbe i parenti

plorâr sempre e le sorelle frigie.

I molli pianti alfine cessino,

e, su!, più tosto cantiamo gli ultimi

di Cesare Augusto trofei

e l’alpestro rigido Nifate,

e a’ vinti aggiunto il fiume assirio

via defluente con minor gloria,

e in limite angusto i Geloni

trascorrenti per gli esigui campi.


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