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59. VII
A Torquato
[DA ORAZIO]
Fuggiron le nevi: già l’erbe rïedono a i prati
cangia tenor la terra, e i fiumi dimessi ne’ letti
La Grazia con le ninfe e le due sorelle osa ignuda
Non sperar cose eterne: l’annata e il dì almo t’avverte
Dómano l’aure il Verno; abbatte la State il bel Maggio,
a ’l pomifero Autunno spargente da ’l corno i bei frutti;
Le celeri lune riparano a’ danni de ’l cielo;
ma noi po’ che cademmo
dove il buon padre Enea, dove l’aureo Tullo, dove Anco,
Chi sa se i Superi aggiungano un giorno di vita
Tutto fia salvo da l’avida man de l’erede
Quando la Morte nera ti tocchi, e sentenza solenne
non pietate, o Torquato, non dolce facondia, non stirpe
Né Cintia intanto a l’atre paludi ritoglie
né forte è Teseo a infrangere i ceppi infernali