Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
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64. XII A Lucio Sestio

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64. XII
A Lucio Sestio

[DA ORAZIO]

Sciogliesi l’acre inverno pel ritorno di Favonio e Flora;

varan l’asciutte navi industri ordigni.

Lasciano i chiusi ovili già gli armenti ed il bifolco il fuoco,

né i prati ridon candidi di brine.

Già l’alma Citerea guida i cori a ’l raggio de la luna,

e le decenti Grazie e Ninfe in frotta,

mentre Vulcan fiammante gli antri oscuri de’ Ciclopi affuoca,

con piede alterno battono la terra.

Or di cingere è bello verde mirto a l’adorate chiome

e il fior che il suolo morbido produce;

or è bello a Fauno immolar ne le selvette ombrose

qual più gli è grato, picciol capro o agnella.

L’altra Diva severa col piè stesso a le capanne batte

ed alle reggie. O fortunato Sestio,

de gli anni il termin breve lunga speme vagheggiar vieta.

La notte e i Mani t’urgeran ben presto

di Pluton ne’ regni, dove entrato non più trarre a sorte

de ’l vin l’impero, o Sestio, tu potrai;

rimirar Licida che or a’ giovin lancia strali in petto

e a le fanciulle insinua i primi ardori.


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