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[DA ORAZIO]
Sciogliesi l’acre inverno pe ’l ritorno di Favonio e Flora;
varan l’asciutte navi industri ordigni.
Lasciano i chiusi ovili già gli armenti ed il bifolco il fuoco,
né i prati ridon candidi di brine.
Già l’alma Citerea guida i cori a ’l raggio de la luna,
e le decenti Grazie e Ninfe in frotta,
mentre Vulcan fiammante gli antri oscuri de’ Ciclopi affuoca,
con piede alterno battono la terra.
Or di cingere è bello verde mirto a l’adorate chiome
e il fior che il suolo morbido produce;
or è bello a Fauno immolar ne le selvette ombrose
qual più gli è grato, picciol capro o agnella.
L’altra Diva severa co ’l piè stesso a le capanne batte
ed alle reggie. O fortunato Sestio,
de gli anni il termin breve lunga speme vagheggiar vieta.
La notte e i Mani t’urgeran ben presto
là di Pluton ne’ regni, dove entrato non più trarre a sorte
de ’l vin l’impero, o Sestio, tu potrai;
né rimirar Licida che or a’ giovin lancia strali in petto
e a le fanciulle insinua i primi ardori.