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73. II
Ad Artemide
Artemide canto da l’aurëo spiedo, sonora,
vergine vereconda, a’ cervi terribile, amante
de’ bei strali, germana d’Apollo da l’aurëa spada,
che per montagne ombrose, per gioghi da ’l vento percossi,
ne le caccie esultando, distende il bell’arco tutt’oro
e scaglia le gementi saette. Ne treman le cime
altissime de’ monti, risona la fitta boscaglia
cupa cupa a ’l ferino clangor, tutta freme la terra
ed il pescoso mare. Ma ella con animo forte
or qua or là si volge, le fiere tremenda uccidendo.
E allor ch’è sazia e stanca, la candida Dea cacciatrice
a gli spiriti indulge, e, l’arco flessibil lentando,
viene a la gran magione de ’l caro fratello germano,
Apolline Febo, tra ’l popolo pingue dei Delfi,
con le Muse e le Grazie carole gioconde mescendo.
Ove, sospesi l’arco ritorto e le freccie dorate,
di leggiadri ornamenti ricinta il bel corpo, ne’ cori
ella duce precede. Esse poi con l’ambrosïa voce
läudano Latona da ’l nitido piede, a’ Superni
genitrice di figli grandissimi d’alma e d’imprese.
O voi, figli di Giove e Latona da ’l fulgido crine,
salvete! Io di voi memore sarò e di un’altra canzone.