Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Solus ad solam
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• 13 settembre – domenica.

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13 settembredomenica.

Non resisto più in questo sepolcro dove non sento se non l'odore della morte.

Parto con l'automobile verso la montagna. Vado a Serravalle di Bibbiena, a parlare con Francesco perché egli m'aiuti a scoprire omai tutta la verità. I dubbii più acri mi avvelenano.

Il cuore mi batte quando passo per Rovezzano e per Compiobbi. Ripenso tutto: la partenza mattutina di Amaranta, il pentimento, la fermata a Compiobbi, l'inseguimento, l'incendio del motore a mezza strada, il biroccino del macellaio, la corsa nella polvere, l'assembramento dinanzi alla stazione, Amaranta con l'aspetto della follìa, che trema balbetta si squassa, irriconoscibile di dolore e di spavento; e il suo grido istintivo di passione, l'ultimo grido veramente, erotto non dalla sua anima – già perduta per me – ma da tutto il suo sangue: l'indefinibile accento con cui gridò, guardandomi a traverso le lacrime: «Ah, come mi piaci

Valico la Consuma; percorro la via che dalla Consuma per Borgo alla Collina scende a Poppi, la via percorsa la sera del 14 agosto fino a Rassina, dove la infinitamente desiderata doveva raggiungermi per volare verso l'Umbria.

A mezzogiorno sono a Serravalle. Grandi accoglienze. Gli amici si dolgono di vedermi pallido e abbattuto.

Giornata di malinconia senza confine. Tutto è ferita per il cuore nudo. Anche i ciclamini lo feriscono, i bei ciclamini selvaggi che nella foresta somigliano quelli del bosco su l'Arno, quelli della Mirabella, innumerevoli.

Passo più d'un'ora a coglierli. Li lego in mazzi. Li porterò con me. Ho già un pensiero nell'animo.

L'abbondanza dell'amore è tanta che – nel discendere verso la pianura – mi consolo in un sogno miracoloso.

Il sogno mi promette non so qual novità felice, inattesa, per la sera. La vita si accelera.

Arrivo dopo le sette, coi fanali accesi. Non perdo un attimo. Telefono al dottore. Lo attendo.

Egli giunge verso le nove. Cerco invano la buona novella sul suo volto severo.

La malata è un poco meno convulsa. Accingendosi a lasciare la casa del marito per andare in quella del padre, ha voluto scegliere da sé negli armadii la biancheria. Ha veduto i bei vestiti: quelli che scegliemmo insieme nel giugno e nel luglio, forse quello bianco a ricami d'oro che le piaceva infinitamente. Ha avuto un moto disperato verso la vita lieta. Ha detto: «Non li porterò più, i bei vestiti! E sono ancóra giovane, e ho ancóra tanti anni davanti a me! Non ho più nulla, non avrò più nulla!»

Alla giovane inserviente, mandatale da Eugenio Tanzi, ha detto guardandola: «Mi piaci. Sei graziosa. Hai un buon viso. Ti terrei per cameriera. Ma io non ho più nulla. Non potrò più avere nessuno che mi serva».

E s'è di nuovo abbandonata al delirio della ruina, a quello della morte inevitabile. Poi l'ha colpita il pensiero delle mie lettere. Ha raccontato che nella notte una vettura s'era fermata giù, e che due sconosciuti erano saliti, avevano presa la piccola valigia, l'avevano aperta, avevano rubato il documento che poteva salvarla...

D'improvviso s'è alzata e ha tratto fuori un pacco di lettere.

«Eccole!»

Ha soggiunto: «Queste sono le buone».

Il dottore cautamente ha tentato di averle. Ella le ha tenute strette nelle mani.

Il dottore ha chiesto: «Che ne vuol fare? Le brucia

Ella è andata verso la stufa, e, senza commozione, senza esitazione, ha gettato dentro le mie lettere d'amore che – or è appena una settimana – ella giurava esserle più care della sua stessa vita!

È stato acceso il fuoco. Il pacco s'è ridotto in cenere. Il sacrilegio s'è compiuto intero.

Più tardi un altro pacco, più grave, d'una cinquantina di lettere, è stato dato al fuoco, senza rammarico, senza rimorso. Amaranta ha gettato e bruciato un lembo vivo della mia anima, ha distrutto quel che – or è pochi giorni – ella pregiava come il suo orgoglio e la sua gloria.

La vecchia megera di casa G. eccitava la fiamma dicendo con ira: «Così potessimo bruciare chi le scrisse

Amaranta ha sofferto che una tal bocca proferisse tali parole! È rimasta silenziosa, con gli occhi fissi all'ardore.

Incredibile delitto contro l'anima e contro il sangue.

Soltanto la vecchia megera, in verità, ha il diritto di parlare.

Tutto il resto è silenzio.


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