Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Solus ad solam
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• 16 settembre – mercoledì.

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16 settembremercoledì.

Prima di mezzogiorno viene il dottore.

Non so che bellezza tragica splendeva su l'atrocità del caso, nei giorni del gran delirio. Ora tutto si spegne, s'abbassa, si avvilisce, si corrompe: tutto si riduce a un gioco di sentimenti inferiori, a un conflitto tra i terribili diritti e i comodi doveri meschinissimi.

Il padre non considera la follìa della figlia se non come un modoveramente provvidenziale – di ottenere una riconciliazione o almeno un accomodamento onorevole, perché spera di poter giustificare le imprudenze recenti – e in ispecie quella di Perugiadimostrando che fin da quell'epoca la figlia era folle, non più padrona di sé, in balìa del dèmone seduttore.

Ora accade questo. La malata è più tranquilla. Secondo il dottore, il periodo acuto è terminato. Subentra in lei un'abulica mollezza su cui è facile, e utile ai fini del padre, stampare la suggestione. C'è ora qualcosa di estraneo alla volontà nelle sue attitudini, nei suoi scatti, nelle sue ribellioni. C'è qualcosa di non suo nel mostrarsi non soltanto immemore di me ma avversa a me, nel dare a vedere che non soltanto l'amore è morto ma s'è mutato in odio.

Questo giova alla causa.

Ella non ha addosso più nulla di mio, non gli anelli, non il braccialetto di rubini, non i fermagli. Ma ha cercato, ha trovato, s'è messo al dito l'anello matrimoniale. S'è messi agli orecchi due orecchini di turchese.

Quando il dottore li nota, e si compiace di vederla oggi abbigliata con più cura, ella a un tratto si adira, minaccia di strapparsi gli orecchini, di lacerarsi gli abiti! Ella teme che quei segni siano giudicati come indizii d'un accettato ritorno alla vita comune, alla realtà cotidiana.

Non la più fugace allusione a me, al passato: nulla. Ogni traccia sembra distrutta.

Come il dottore vede in un vaso su la mia tavola un mazzo di ciclamini, si ricorda di averne veduto uno entro un bicchiere , in una stanza prossima a quella della povera amica mia. Il cuore mi batte.

Ma ella forse ignora. Forse la giovine inserviente ha trovato i fiori sul davanzale e li ha serbati senza dir nulla.

Il mondo è un deserto, e lo spirito è immobile.

Mi sembra che oggi io non possa compiere nessun atto, non possa proferire nessuna parola.

Rimango nel sepolcro; rimango per ore ed ore disteso su i cuscini rossi, con un disgusto quasi fisico, come se fluttuassi in una barca sdrucita sopra un mare oleoso.

La sera Silvio mi porta due grandi mazzi di ciclamini.

Verso mezzanotte esco.

L'aria è tiepida. Si sente ancóra il soffio dell'estate. La luna lógora e gialla è su i tetti.

Vado sul fianco della casa muta, nella via Gustavo Modena. Le persiane sono chiuse. Nel giardino gli alberi son neri e fermi. La piccola porta del giardino mi un brivido... S'ella mi amasse ancóra, s'ella volesse vedermi, come sarebbe facile passare di o scavalcare il cancello! La bocca mi arde.

Alla terza finestra scopro una fessura fra le due persiane. L'allargo; e riesco a porre i due mazzi di ciclamini contro i vetri.


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