Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Solus ad solam
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• 22 settembre 1908 – martedì.

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22 settembre 1908martedì.

Stamani, il dottore è partito per Rimini. Non ritornerà se non a notte. Passerò la giornata senza notizie.

Il grande ippocastano è già malato di autunno, di male mortale; ma nel morire si fa più bello e più ricco. Già le sue cime sono tutt'oro, splendenti. Sotto, la ghiaia è tutta cosparsa di foglie cadute.

Ecco, di foglie cadute è anche cosparsa la mia vecchia tavola perugina dove, nel settembre trapassato, ero chino a compiere il mio poema adriatico. È cosparsa delle tue lettere che giungevano ogni giorno, piene di tenerezza e di speranza, e aumentavano la mia forza e illuminavano la mia fantasia.

Com'è appassionata la lettera del 7 settembre! Vi riarde la passione di Brescia, vi s'affaccia l'imagine d'Isotta.

«O dolcezza infinita, , sul piccolo ripiano delle scale, al buio e al pericolo! Baci più dolci di qualunque dolcezza, che mi resterete in eterno sulle labbra! Intiero abbandono e fiducia intiera nel mio amore! Certo non furono più ardenti Isotta e Tristano. Né Isotta poteva dell'amore del suo Tristano avere maggior certezza di quella che io m'ebbi del tuo, o amico, in quei momenti troppo brevi...»

La lettera del giorno seguente è ancóra più calda.

«Infinitamente io ti piaccio. Gioia, ebrezza, felicità! Infinitamente tu mi piaci. Anch'io ti grido il mio amore e il mio rimpianto, grido tanto acuto che giunga ai confini del mondo. Le mie ubbie vane dileguano. La tua parola m'inebria, come il mio respiro inebriava te...»

La lettera del 9 mi parla di tuo padre, dell'uomo che doveva distruggere nel tuo cuore tutto quel ch'era vivo.

«Amo mio padre e nel tempo medesimo lo temo. Basta la sua presenza a mettermi in orgasmo. L'uomo severo, l'uomo dell'assoluto dovere, senza discussione e senza debolezza! Inutilmente egli terrà fissi in me i suoi occhi scrutatori. Saprò ben nascondere in fondo all'anima il mio dolce segreto. Tutto quel che vive in me io lo debbo al mio segreto. Ho ben ragione di custodirlo...»

La lettera del 10 è chiara come il cielo di quel pomeriggio estivo su le colline parmensi.

«Il ricordo di Castellarquato mi turba a dentro. Avevi gli occhi di bimbo e la faccia trasparente... Ti ricordi? Sognavo di vivere nel bosco e di aver per ricovero il tronco della vecchia querce... Per tutto il giorno, per tutto il giorno ti penso quale ti vidi a Castellarquato; ed ho per te tante carezze leggère leggère, carezze di madre amorosa... Le senti

La lettera dell'undici, del giorno santo, è piena di ciclamini e di bontà. La rileggo; e mi morde il cuore, più d'ogni altra, perché in fondo reca un sogno che oggi potrebbe essere avverato.

«Sono vicina a te, nel tuo Studio; sono nel posto che mi hai assegnato. E copio copio copio tutti i fogli che via via tu mi passi. Non mi muovo per non far rumore, per non disturbarti. Attendo, attendo la parola che mi rivolgi nel momento del riposo... forse il bacio...»

Ah perché, se hai tante volte sognato questo sogno, perché l'hai respinto dal tuo cuore nel punto stesso in cui era per avverarsi?

Perché non sei qui, accanto al tuo amico, nella casa dove a lui ti donasti? Perché gridi e ti dibatti atrocemente nell'orribile carcere, fra gente che non t'ama e non t'aiuta?

Ecco la stanza silenziosa; ecco la lunga tavola del lavoro; ecco il cumulo dei fogli; ecco il tuo posto assegnato. Ecco per te, per te sola, nel mio sorriso riconoscente, la bellezza dei miei pensieri.

Francesco mi telefona che ha bisogno di vedermi per comunicarmi alcune notiziedi natura delicata – sul mistero della sera orrenda. Il suono della sua voce mi sbigottisce. Che c'è di nuovo! che c'è di più tristo?

Discendo a Firenze. Come non è ancor l'ora indicata dall'amico pel nostro incontro, mi faccio portare su la piazza di San Firenze, spinto da non so quale bisogno di soffrire e di inasprire la mia pena.

Ecco il luogo del martirio.

La piccola porta è sotto una finestra chiusa da una inferriata robusta. Qui entrò la povera folle, per cercare salvezza. Di qui uscì, senza aver trovato salvezza.

L'andito è bianco, con le pareti coperte di lapidi e di stemmi. Appesa in alto è una lunga scala di legno; altre due lunghe scale son poggiate sul pavimento, simili a quelle su cui salivano i crocifissori per conficcare i chiodi nelle mani di Gesù. Un pergamo di legno scuro è a fianco dell'uscio.

Stranissimo caso – dalla parte della cappella è una lapide mortuaria che commemora l'avo del marito, il traduttore di Omero e di Milton; e in cima al marmo inscritto sono tre stemmi dalle bande nere e d'oro.

Di contro è la piletta dell'acqua santa, con poc'acqua, dove forse Amaranta intinse le dita per segnarsi. Mi chino su l'acqua che luccica nell'ombra; e il cuore mi si gonfia d'una pie disperata.

Cammino sopra una pietra sepolcrale, per un breve corridoio ingombro di armadii neri.

Ecco la cappella. Vedo le lastre nere e bianche del pavimento ov'ella s'inginocchiò, dinanzi ai balaustri di marmo che chiudono lo spazio dell'altare.

Guardo con occhi intenti e avidi. Gli aspetti delle cose mi si stàmpano nell'anima dolorosamente.

La cappella ha la volta a cupola. L'altare è dedicato alla Vergine. L'imagine santa è circondata di cuori d'argento votivi. Due lampade d'argento ardono ai lati. E da un lato e dall'altro sono due porte chiuse, in mezzo a' cui battenti splendono due cuori d'oro fiammeggianti; e su l'una e su l'altra porta è l'iscrizione: Reliquiae sanctorum.

Alla parete destra è un confessionario; un altro è alla sinistra: e presso vi sono due panche.

Che fece la povera amica mia nella lunga sosta? Rimase in ginocchio? Si sedette? Quale fu la sua preghiera?

A quell'ora io ero su la montagna. Vedevo sorgere la luna diafana come un'ostia, su le cime lievi come le più lievi nubi...

Di contro all'altare è la tomba del Venerabile Pietro Bini, di marmo nero e giallo. Veggo, a traverso il cancello, la chiesa bianca sostenuta dagli alti pilastri di pietra serena. Veggo di dalla Cappella gli anditi oscuri, ingombri di stalli, di armadii e di confessionarii. Una donna quasi cenciosa passa e mi guarda con due occhi febrili, pieni d'infinita miseria. Mi tende la mano cava, senza parlare. Prende l'elemosina, e scompare nell'ombra trascinandosi come se avesse spezzate le reni.

Rimango seduto su la panca. Sento l'ombra che discende dal lucernario. E a un tratto Giusini m'appare, con quei suoi movimenti impetuosi che talvolta la facevano assomigliare a certe figure d'Agostino di Duccio «vestite di vento». È come un'allucinazione. Vedo le sue gote solcate, la sua bocca semiaperta, i suoi occhi simili allo smalto escito appena appena dal fuoco.

Mi alzo, per dissipare il fantasma. Attraverso il corridoio; esco su la piazza. I fanali sono già accesi. La massa petrosa del Bargello occupa il cielo cinerino. Il campanile aguzzo della Badia aspetta che alla sua punta si accenda una stella. Una fila di vetture è lungo il marciapiede, coi cavalli stanchi e tristi, coi vetturini sdraiati in attitudini ignobili. Quale è quella che portò la povera folle, seduta fra i due accompagnatori?

Vado in cerca di Francesco. Non riesco a dominare il mio sgomento.

Lo trovo. Mi parla. Nella mattinata l'ispettore Adorni gli ha dichiarato che – dopo ricerche minute e discrete – ha potuto stabilire come nessuno dei due sconosciuti fosse agente di questura.

L'orrore si addensa. Non v'è nulla che eguagli l'atrocità del caso.

Il mio amico – per le dichiarazioni dell'ispettore e per le inquisizioni sue personali – è giunto a scoprire i nomi e le qualità dei due socii. Si tratta veramente d'una coppia criminale. Entrambi, collegati, sono di continuo alla ricerca di affari loschi.

Come si trovavano su la piazza, quella sera?

La piazza di San Firenze, la sera, è il ritrovo della mala vita intanata nelle vie e nei vicoli che si diramano dietro il tempio e dietro il tribunale. presso è anche una specie di caffè-concerto, l'Eldorado, d'infimo ordine. I due procaccianti hanno quello per campo delle loro imprese.

Ora, a qual fine si accostarono? Non è possibile ch'essi fossero mossi dalla pie, vedendo la signora smaniosa.

La vedevano per la prima volta? Avevano premeditato il colpo? L'indirizzo di via Pier Capponi fu dato dalla signora o era già noto a loro? Volevano tentare un ricatto, credendo di trovarmi in casa? Quale intenzione avevano? E che fecero? che fecero?

Francesco deve aver veduto sul mio viso il colore della morte.

Con tutti i mezzi, conosceremo la verità.


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