Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Solus ad solam
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• 26 settembre – sabato.

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26 settembresabato.

Igiene del corpo, per rafforzare lo spirito scoraggiato. Monto a cavallo di buon mattino; galoppo sul Campo di Marte, ma il terreno è duro, se bene sia caduta la pioggia verso l'alba. Ritorno per le colline. Passo dinanzi all'Arcolaio, alla villa che avevo scelta per Giusini se fosse stata affidata alle mie cure. Ancóra qualche fiore è su gli oleandri, e la vite vergine giù dalla terrazza già rosseggia. A casa, tempro i muscoli con l'acqua fredda. Faccio un quarto d'ora di esercizio coi manubri di ferro. Viene il medico di Settignano, e mi fa una iniezione di glicerofosfato e di stricnina. Mi sento meglio, più elastico, più leggero. Guarirò? Ma la ferita è troppo profonda.

Vedo il dottor Nesti. La notte non è stata buona per la malata. Egli le ha parlato di me. Ella ha ascoltato in silenzio. Come egli le narrava la mia corsa da Bologna, l'indugio su la montagna, l'ansie sfortunata, ella ha chiesto quale guasto fosse avvenuto alla macchina.

Poi ha soggiunto, pensosa, un po' trasognata: «Se, quando fu battuto alla porta, egli fosse stato , allora forse...»

Il dottore ha chiesto: «Forse?...»

Ella non ha risposto.

Però, poco dopo, ha detto di avere udito nella notte sonare il telefono sei o sette volte e di avere avuto l'impeto di accorrere ma d'esserne stata sconsigliata dalla vecchia megera. Ha soggiunto: «Ah, se fossi corsa!...»

Il dottore ha incalzato: «Ebbene?»

Ella non ha risposto.

Ha ripreso l'elogio del marito.

Poi ha di nuovo mostrata la paura puerile delle guardie, delle persone misteriose che girano intorno alla casa. Ha anche detto: «Come posso stare qui? Dove posso stare io? Il peso del mio male, chi lo sopporterà?... Chi mi salverà dalla pena e dal rimorso?...»

Il braccialetto tintinnava al suo polso irrequieto.

Ho ricevuto questo messaggio d'anima, questa lettera di Maria Votruba.

«Signore, non avrà questa mia lettera la triste sorte delle precedenti? Verrà sotto i Suoi occhi?

S'Ella riconosce a non so qual segno i biglietti dolci, quale è mai il segno per riconoscere la lettera di una sorella?

È più d'un anno ch'io penso spesso a Lei, ammirandoLa, invidiandoLa. Ora io Le narrerò un piccolo episodio, il quale dimostra come la superstizione non sia sempre cosa ridicola.

Alcuni mesi fa, ebbi in dono un giuoco di carte ornato d'imagini e di versi, per ricavare le sorti. Tenendo in pugno tutte le carte, ne presi alla ventura sei.

Guardo la prima: una nave; la seconda: un libro; la terza: un uomo a cavallo; la quarta: una lettera; la quinta: un signore in atto di leggerla; la sesta: un bel giardino.

Come io sono abile a combinare, dissi entro di me: «La nave (i versi della carta promettono felicità, fortuna, buon viaggio) che cosa può significare se non il piroscafo col quale partirà mio marito? E il libro? Non è forse quell'altra Nave che ora mi occupa tanto? E il cavaliere? (Qualcuno vicino al cuor tuo – di lontano ti dice cose nuove). È certo il mio Nino che mi scriverà di dall'Atlantico. E la lettera? Quella che io manderò a Gabriele d'Annunzio. E il signore che la legge? Lo stesso poeta. E il giardino? Il giardino significa pensieri di gioia, ore di letizia, gaio conversare».

Or dunque?

Mio marito partì. La traduzione della Nave sarà presto compiuta. Lettere del mio Nino mi dissero molte cose nuove. Il biglietto che spedii giunse nelle Sue mani; ed oggi io trascorsi nella Sua casa due ore che non dimenticherò.

Sono veridiche le carte?

Mi sovviene così chiaramente di tutte queste particolarità perché anche ne scrissi nel mio Diario.

Ci rivedremo ancóra?

S'Ella teme troppo la malinconia del crepuscolo, io mi troverò verso le cinque e mezzo nella sala di lettura del mio albergo.

S'Ella vuol fare una breve passeggiata con me, non ha che da venire a quell'ora.

Mi consenta di darLe una piccola spiegazione.

La mia facoltà verbale in italiano è troppo scarsa (penso di scriver meglio ch'io non parli), e non so se bene io esprimessi quel che toccai mentre camminavamo tra le vigne oscure. Parlai del credito bianco.

Sì, vorrei far conoscere al mio Nino quel sentimento medesimo che spesso mi torse il cuore quando egli partiva per qualche tempo.

Mi ricordo ancor bene come – morsa da una gelosia senza causaio gli dicessi, quand'ero a lui fidanzata: «Non voglio avanzi lasciati dalle altre». «Fanciulla mia» mi rispose «tu sei la prima a prendere dal piatto intatto». I cari occhi, le belle labbra, la voce melodiosa, tutto ebbe lo splendore della verità. Eppure dubitai tuttavia.

Io non voglio turbarlo ma far vedere a lui che credere, quando l'uomo è sicuro di una cosa, non è ancóra un merito. Quando io e il mio Nino ci rivedremo, su le nostre labbra disseccate da un bacio feroce brucerà la stessa domanda, nei nostri occhi arderà lo stesso pensiero: «Niente è accaduto

Ella troverà forse ridicolo quel che le confesso. Partendomi dalla mia stanza, io lasciai sul capezzale il ritratto di mio marito, dopo averlo baciato per addio. E fu il segno della croce, nel varcare la soglia.

Ebbe Ella qualche volta il sentimento che un essere celeste accompagni i Suoi passi e che, sollevando il capo, Ella incontri co' Suoi occhi il dolce volto divino, dal quale non i secoli potérono togliere la santità e la poesia?

Ancóra sento il profumo terribile delle tuberose.

La Sua casa è un enigma per me. Tanta luce e pure tanta ombra.

Mi sovviene ch'Ella desiderava conoscere qualcuno dei miei poemi. Eccone uno ancóra inedito.

Codex rescriptus

Che fare? V'è una preziosa materia

e quanto poca ne abbiamo al servizio nostro!

Un sol cuore dove dobbiamo scrivere

tutto ciò che vale d'esser notato.

Ma non sa la Gioventù far risparmio di spazio:

ha grande scrittura e non ama serrarla.

Se anche più tardi le lettere diventano più fitte,

il cuore non basta alle note.

Che fare? Cerchiamo di cancellare, secondo necessità,

con lacrima, con saliva, con ferro.

Lisciamo il foglio e ricominciamo a scrivere

su l'unica pagina l'episodio nuovo.

E spesso la penna stride e si ferma:

la membrana raschiata la trattiene;

e si vedono ancóra qua e parole isolate,

parole impallidite, prive di significazione...

Mancano, o poeta, il ritmo e la rima. Ma non importa!

Ella vede come la sorella Maria conosca ben altro che le risa, quelle risa che vorrebbe far risonare nell'alta stanza delle colombe scacciate, quando Ella sarà solo lassù con la Sua malinconia.

Se io fossi veramente sorella Sua di sangue, quanto mi sarebbe dolce passar qualche tempo nella casa solitaria! Ma, poiché non sono, bisogna contentarsi d'una consolazione lontana, non meno sincera ed affettuosa.

Ella ebbe già tante amanti. Non vorrebbe avere anche un'amica? un calice puro, degno d'accogliere le gocciole amare che la vita con le mani crudeli spreme dal cuore?

A Lei la offro».


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