Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Solus ad solam
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• 27 settembre – domenica.

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27 settembredomenica.

Tristezza della domenica su la campagna! Settembre è velato come aprile; e i veli fluidi e le onde musicali delle campane sono una cosa sola. Il suono è come un vapore lento; il vapore è come un lento suono.

Prima di montare a cavallo, stamani, poco dopo il risveglio, ho letta la lettera del 27 settembre 1907; poiché a ogni giorno di questo mese affannoso corrisponde una antica pagina d'amore e di aspettazione. Dentro la lettera è un rametto d'ellera a cinque foglie.

«Amore, amore mio dolce, perché non posso prenderti fra le mie braccia come in quella mattina lontana di Castellarquato? Rammenti? Tu soffrivi; ed io ti cullai, ti cullai come un tenero e amato fanciullo; e a poco a poco ti guarii. Perché oggi, mentre sento che soffri, ti sono lontana? La mia tenerezza, da allora, è tanto tanto cresciuta che saprei cullarti molto più dolcemente. Pensando a quella mattina lontana ritrovo la felicità di sentirti tremare nelle mie braccia, come allora, quando pensavo che quel tremito ti veniva dal pensiero di me...

Mio amore, mio amore, la tua lettera mi strappa le lacrime e aumenta, aumenta senza misura la mia tenerezza per te. Ah, esserti lontana quando tu mi piaci di più!...»

Com'è feminino questo grido! Com'è feminina questa felicità nel sentir soffrire l'amato! Il giubilo di tutte le vene nel pensare: Egli soffre per me!

Ben mi ricordo di quella mattina lontana e della mia miseria cieca e della mia malvagia febbre.

Ho cavalcato per le colline fin quasi a mezzogiorno, col pensiero sempre fisso alla reclusa.

Passando presso una vecchia villa, a San Martino, ho visto su un gran rosaio una sola rosa rossa ma di porpora così fulgida che aboliva intorno la forza di qualunque altro colore.

Rientrando nell'Eremo, ho ricevuto quest'altro messaggio d'anima, quest'altra lettera di Maria Votruba.

«Addio. Grazie per le buone parole profumate di rosa; grazie per il libro ornato della dedica bella e giusta. Addio.

Ma mi consenta che io Le parli ancóra. Ho anc6ra qualcosa da dirLe oggi.

Non dubito che la Sua anima sia capace d'una preghiera sincera. Rammemora le parole di Cristo? Quel che voi domanderete al Padre eterno nel mio nome, sarà dato a voi.

Segua il consiglio divino, e son persuasa che ne proverà la virtù.

Nel nome mio...Penso che questo significhi: Nel nome della Bontà, dell'Amore.

Ma bisogna, dopo, anche operare secondo questo, onestamente, senza frode.

Ieri Ella mi disse di che grande amore Ella amava la donna infelice e come ora è disperato vedendo che nella misera l'amore non fu tanto grande da liberarla dei pregiudizii mondani. Per darmi una prova della Sua folle passione, Ella mi raccontò l'impresa della notte pericolosa a traverso il torrente, su per la roccia scoscesa. Ma come può una donna pensare che l'amore ond'è trascinata non sia veramente una colpa orribile, un segreto tenebroso, un delitto oscurissimo, quando l'uomo deliberato di giungere a lei nella notte, combattendo contro tanti ostacoli, la inebria con la sua audacia, le suggerisce la necessità della menzogna, le prova ch'egli stesso non ha il coraggio di parlarle ad alta voce nella luce del giorno?

Una donna Sua come una cosa che si tiene in pugno, come un anello nel dito, come una parola che può essere taciuta o detta, come un vino che può essere bevuto o versato a terra, abbattuta dalla lunga lotta, stanca delle menzogne umilianti, snervata dai piaceri carnali, infastidita dalle maldicenze, paurosa del giudizio mondano, che doveva, che poteva mai fare? Povera creatura che forse non conosceva l'amore prima di riceverlo dalle Sue mani raffinate ed esperte in un modo che le lasciò apparire la parola amore e la parola delitto come cose della medesima significazione!

Ella – ne son certa –, se la Sua amica guarirà, vorrà offrirle la Sua devozione costante e la Sua casa come un ricovero assai più degno di quello che oggi la chiude...

Chi non entra per la porta ma viene per la finestra, quegli non è il pastore ma un ladro dicono le labbra sante.

Il mio cuore conosce tutti gli abissi delle passioni, se non per esperienza, per istinto. Per ciò non son capace di giudicare. Consiglio solamente.

Per quel che ho potuto divinare in sì breve tempo, la Sua anima è come le fiumane d'Italia: ora trabocca, ora è disseccata.

Ah, se la Sua fonte inesauribile fosse regolata dalla Sua volontà, quanta vita e quanta bellezza potrebbe spandere ovunque in perpetuo!

Il dolore rende il Suo cuore mite o duro? Benedetto il dolore che ammollisce il suolo dell'anima; perché, quando le sue compagne – le buone intenzioni e l'umiliazione sacrapàssano, ne rimangono le vestigia dei piedi leggèri.

Or Ella dovrebbe nella Sua solitudine lasciar parlare alquanto il Suo passato col Suo futuro.

Che età è la Sua? Mi ricordo che – in un processo per uno de' Suoi levrieri uccisi – Ella rispose al giudice: «Non si domanda l'età né alle donneai poeti».

Ma ieri, se bene stanco e triste, Ella aveva ancóra l'apparenza giovanile. Che lunga strada è dunque ancóra davanti a Lei!

Si tratta solamente di questo.

Vuole Ella percorrerla in automobile, con rapidità sfrenata, levando nuvoli di polvere e spaventando i pedoni con l'ululo della sirena? O vuol camminare a passo lento e fermo, osservando ogni particolarità, badando di non calpestare i fiori, sorridendo ai fanciulli e ai vecchi, accarezzando gli animali, dicendo ai viandanti parole non dimenticabili?

Per il modo primo Le basterà un buon conduttore e ardito: la Sua ambizione, il Suo genio fedele. Per il secondo vorrei ch'Ella avesse al Suo fianco una compagna dolce e devota.

Ma bisognerebbe ch'Ella scrutasse profondamente sé stesso per non lasciare la povera creatura sola e desolata a mezzo del cammino.

Domani mattina partirò. In campagna, dove resterò ancóra due settimane, ogni giorno m'apparirà la bella immagine di Settignano contemplata dall'alto della Sua finestra. Addio».

Sorella Maria, sorella Maria, per tutta la vita ho cercata la mia compagna; e oggi io sono tanto disperato perché ho perduta la mia ultima speranza. Sono solo, resterò solo.

L'altrieri, nella stanza delle colombe scacciate, voi ripetevate taluni versi animosi della Laus Vitae.

Vi ricordate delle Sibille?

E allora io cercai le Sibille

per desìo d'un'alta compagna.

L'alta compagna rimane per sempre nel cielo della Sistina.

Dissi alla Delfica: Te

amerò, tra due vènti avversi

nata dall'onda marina

esule Oceànide, te

che i lombi non anche detersi

hai dall'amarezza salina.

Non è vero, non è vero, cara sorella, che io abbia calpestato i cuori devoti, che io abbia fatto scorrere il sangue e le lacrime sotto i miei piedi veloci. In tutti i miei amori, io fui sempre quello che più diede di sé, che più diede di gioia e di dolore.

Una sola volta non io fui crudele ma l'orribile Necessità mi fece apparire crudele. E ne portai e ne porto il castigo. Come nel racconto spaventoso, io sento dovunque palpitare quel cuore invisibile; e quel palpito crea d'intorno a me un cerchio di sciagura, un ferreo cerchio.

Volli vincere la malvagia sorte. La preghiera che voi mi consigliate, io già più d'una volta la pregai. Domandai la grazia nel nome dell'Amore e della Bontà.

Qui, in questa casa, or è quasi quattr'anni, vissi per mesi e mesi al capezzale d'un'amica malata del più feroce male che possa devastare il grembo d'una donna. Una specie d'ebrezza eroica m'infiammava, e moltiplicava le mie forze. I medici erano attoniti della mia resistenza e del mio coraggio. Per lunghe settimane, vegliai tutte le notti; per giorni e giorni non mi mossi dalla chiusa stanza ove respiravo l'odore della dissoluzione. Tenni per tre volte le mani della vittima mentre la sua anima si profondava nel buio, sotto la maschera del cloroformio; e mi parve di assistere a tre agonie, e udii salire da quelle agonie parole d'amore inaudite, parole che non possono esser dette se non alla soglia della morte e che la memoria non può ritenere perché, se le ritenesse, dimenticherebbe tutto il resto.

Tre volte il corpo insensibile fu portato al macello; e io conoscevo il lettuccio del supplizio, l'ordegno articolato che doveva divaricare le povere membra; e conoscevo tutti i ferri taglienti e tutte le fasce. E ogni volta il chirurgo mi guardò nelle pupille e mi disse: «Raccolga le sue forze. Non so se la riporteremo su». E ogni volta attesi in piedi, diritto su le mie gambe, immobile, trasformato in un dolore inflessibile. E ogni volta mi sembrò di ricevere su me il sangue corrotto e di restituirlo alle vene della povera creatura purificato. E ogni volta fui testimonio d'una resurrezione; ogni volta io vidi Euridice ritornare dal buio e dall'eternità con un sorriso più divino.

Ah, sorriso del risveglio! Come mai dal ferro, dal taglio, dallo strazio, da tanto orrore poteva nascere quell'attimo di luce ineffabile? Il più fulgido sorriso di donna bella, al paragone, è una contrattura ignobile, una smorfia carnale.

Sorella Maria, certo io son fortunato nel mio martirio e nel mio errore. Io ho veduto quel che forse nessun altro uomo vide mai; ho veduto sorridere una creatura umana che aveva posato i suoi piedi leggeri su gli asfodeli eterni.

Chi ha detto tre volte addio, ed è ritornato, non può dire addio per la quarta volta.

«Per te solo voglio vivere» ella diceva, sentendosi morire.

«Vivrai, vivrai».

Ma l'estremo commiato era negli occhi dei medici. Uno, il più illustre, uscendo dalla stanza ove l'odore della dissoluzione si faceva intollerabile, mormorò: «Soltanto il miracolo potrebbe salvarla».

Sorella mia, io credo nel miracolo. La preghiera che voi mi consigliate, io la pregai. Domandai nel nome della Volontà, e mi fu dato; nel nome della Volontà d'amore, e mi fu risposto. Con una miracolosa trasfusione di vita, io vinsi la morte.

Ora, non avevo io conquistato un'anima per diritto divino? Chi mai avrebbe potuto rapirmela? Neppure il Signore che è nei Cieli.

Mi ricordo. Agli estremi, uno dei medici fece l'analisi del sangue che non era più rosso ma appena appena roseo come la più pallida delle rose d'inverno. E a un tratto, nel delirio dell'anemia, quella che avevo chiamata Nike, la Vittoria senz'ali (una sovrana bellezza splendeva nella sua faccia trasparente affondata nei capelli biondi che il sudore dello spasimo aveva fatti più scuri), Nike incominciò a cantare un canto sommesso, una melodia senza parole o forse di parole sconosciute, una infinita e tenue musica ch'io non percepii co' miei orecchi ma col sommo dell'anima mia: un aereo canto, non modulato dalle bianche labbra, simile forse a quello non mai udito dagli uomini ma sol dalle stelle, simile a quello dei cigni iperborei su i fiumi senza sponde. E quel suono era certo di dalla vita ma non nella morte.

E io, pieno di meraviglia sacra e di speranza sovrumana, m'inginocchiai. Né so se in atto io piegassi le ossa dei miei ginocchi sul pavimento, perché avevo smarrito il senso del mio corpo, divenuto anch'io un puro spirito, congiunto a quella improvvisa bellezza.

Sorella Maria, non avevo io dunque meritato l'alta compagna?

Dopo le trepidazioni della convalescenza, quando i miei occhi velati dalla stanchezza di tante veglie ridivennero chiari e intenti, vidi innanzi a me una creatura alterata da non so quale potere nascosto, da non so quale malefica essenza. E in un giorno indimenticabilesento ancóra il tremito delle mie mascelle e il disgiungimento di tutte le mie giunturescopersi l'orrenda verità. La Morfina, il mostro vorace, aveva fatta una nuova vittima!

Conoscete voi questo male, questa devastazione del corpo e dell'anima?

Imaginate la mia vita, ancóra per un anno, con la mia compagna e col mostro. Mai lotta fu più tragica e più vana. Mai spire di menzogna strinsero più crudamente una creatura che pareva non sapesse mentire.

Sorella Maria, sorella Maria, su quale certezza porremo noi il piede per non piombare nell'abisso o nella palude?

Non ero io certo di aver conquistato il mio bene? Per conquistarlo non avevo dimenticato me stesso? non m'ero inebriato di sacrificio? non avevo superato il limite del mio potere? Che altro avrei potuto io fare?

Ed ecco, uno stato della carne, un bisogno morboso della carne, un vizio generato dallo spasimo mi toglievano il mio bene, mi corrompevano, mi devastavano, mi difformavano la mia creatura!

E perché dunque l'amore non soverchiò il vizio? perché la gioia dell'amore non vinse la delizia del tòssico? perché tutto fu miseramente perduto?

Io con la mia volontà avevo combattuto e sconfitto la morte; e la mia donna, salvata, la mia donna non ebbe la forza di rinunziare al suo vizio, pur dinanzi al mio sgomento, al mio pianto, alla mia supplicazione, alla mia còllera, alla mia vigilanza, alla mia tristezza disperata. Prometteva, e mentiva.

Non voglio rinnovare la mia miseria, o sorella Maria.

Nel vostro poema voi parlate d'una preziosa materia che in noi è scarsa. Ma che cuore possente la Natura, o il Dio, ha posto in me, se ho potuto ricominciare ad amare! Molta fede è necessaria per ricominciare; non è vero? Io ho compiuto il mio ultimo sforzo, inutile come gli altri.

Non ricomincerò. Sono sconfitto. Per ciò l'altrieri avevo l'aria d'un uomo ferito a morte. Soltanto le mani di Antigone potrebbero medicarmi.

Taluno dice che di troppo il mio dolore supera la cagione. Quel che si trama appostati nell'ombra tetra della follìa non vale il mio rammarico. Nulla è più dimostrativo di questa fine senza nobiltà. Nulla è più significativo di quello stridente braccialetto dalle pietre multicoloridono del fidanzamento – che tintinna al polso della mia amante immemore...

Non so, non so. Io piango l'amante; e piango anche il mio amore, piango il mio ardore. Mai amore fu più robusto, mai amore fu più violento. Non so se voi possiate comprendere questa cosa mirabile: la perpetua fame, la perpetua sete d'una stessa carne. In qualunque giorno, in qualunque ora, dovunque, non la sola vicinanza ma pur la vista di lontano, ma pure il romore del passo, la voce, il riso, l'imagine increata bastavano a incitare il desiderio, ad accendere la febbre.

Tale era la sua potenza su me, quale la mia su lei. Bastava che io le ponessi una mano su la spalla, che io la guardassi nelle pupille, perché ella tremasse tutta dalla nuca al tallone e mi appartenesse veramente come un vino che può essere bevuto o versato a terra.

Ella diceva: «Ahi! Ahi!» sentendosi perduta (il ricordo di quel gemito mi travaglia il cuore come una branca spietata); e il mondo era per entrambi abolito.

Mai con fibre vive fu tessuta una trama più stretta. Talvolta, sotto la forza fluida del bacio, fummo un solo fiume ruinoso. Non fummo sazii mai, non mai fummo dissetati.

Né questo furore distruggeva la tenerezza. Abbiamo dormito, l'una nelle braccia dell'altro, i sonni dell'infanzia. Abbiamo incantato le nostre notti con favole dolci come cantilene. Abbiamo parlato un linguaggio conosciuto da noi soli. Abbiamo trasmutato la nostra malinconia in musica sommessa.

Non un sol giorno, da quello in cui la incontrai, non un sol giorno passò senza che io la inghirlandassi, senza che io le dessi un segno del mio amore presente e imminente.

Gioimmo e soffrimmo. La gelosia senza causa – quella che voi conoscetelacerò lei e me orribilmente. Fu crudele, ingiusta, ingrata, sempre adorabile. La mia mano la toccava: e dalle sue labbra tremanti spirava quel gemito «Ahi! Ahi!» più patetico di qualunque parola grande. E tutto era obliato, con la bocca nella bocca.

La lussuria uccide la bontà?

Io fui buono come non mai.

In un episodio dolorissimo – che colpiva lei e che io feci mio – non fui l'amante ma il fratello. Entrambi c'inebriammo di dolore. Per un'intera notte e per un intero giorno la vidi piangere; e mi stupii che quei poveri occhi contenessero tanto pianto.

«Soffro, soffro, soffro», ella scriveva. «Sono il mezzo piccolo e misero di cui si è servito il Destino per farti soffrire».

Ella scriveva «In una notte di passione ho sentito la tua anima nuda; ed è nata in me una nuova anima. In questa tremenda angoscia ho conosciuto quanto mi amavi e di quale amore! Gabri, il mio s'è ingigantito spaventevolmente: la nuova anima gli ha infuso il suo vigore...»

Ella scriveva: «Mi sembra che secoli e secoli sien passati sopra di me, tanto mi sento mutata. Sono divenuta più dolce, più tenera, più sensibile, mentre un insolito vigore, una sicurezza e una dirittura incrollabili mi son sorti nell'anima. Il dolore ha potuto più dell'amore, ma è sempre opera tua. Ti benedico; e ti amerò per tutta la vita. Pochissimi ti conoscono veramente; nessuno ti conosce come me».

Sorella Maria, questo fu il mio amore: opera di vita e non opera di tenebra.

Ogni sera, quando ella si disponeva a partire e mi dava nel commiato il bacio più profondo e sospirava pensando all'ombra gelida della sua casa non rallegrata dalle risa e dalle grida infantili ma rattristata dallo spettacolo miserevole che dava di sé il signore legittimo abbrutito dal vino, ogni sera, io le dicevo: «Questa è la tua casa. Resta».

Ella preferì di prolungare l'inganno, per tema dei clamori, per tema dell'ira paterna.

Quando ella venne a me nei giorni d'agosto (ed era già scoppiato il dramma), nell'ora del commiato, ancóra una volta io le dissi: «Resta. La mia vita è tua. Confìdati».

Nulla giustifica la rinnegazione subitanea, il disconoscimento cieco; perché in lei anche gli antichi dubbii eran dileguati. Nel buio, nella notte di Giovi, ella aveva aperti gli occhi su la luce del mio amore.

La mattina dopo, scriveva:

«Dal momento che ti ho veduto sparire nel buio, nell'ignoto, sono stata presa da una così forte ansia che fino a stamani ho spasimato, senza tregua... Che follìe! E tu le compi con assoluta sicurezza, senza pensare al pericolo, senza curarti della tua vita... E io sono malata di spavento; ho la febbre; ho tutte le membra indolenzite come se fossi stata battuta; ho le tempie pulsanti... Ma che immensa gioia! L'ho pagata con altrettanta pena. Tuttavia m'è cara... Sembravi un fanciullo folle, un adolescente innamorato alla sua prima avventura. Pensa la lunga corsa, la salita pericolosa, la discesa più pericolosa ancóra, il ritorno attraverso la notte, tanti disagi, tante ansie! O amore, mio amore, debbo convincermi che veramente mi ami, che veramente sei il mio Tristano. Ah, se quei due di stanotte, quei due che serrava e bruciava un desiderio così violento, se quei due potessero alfine riunirsi per sempre in faccia al mondo! Io deliro; ma così comprendo la passione vera: il legame per sempre, contro tutto, contro tutti...»

Sorella Maria, avete udito queste ultime parole? Sono di quella che mi rinnega, di quella che oggi porta al suo polso il braccialetto versicolore.

E il 22 di agosto ella scriveva ancóra:

«Mio grande Appassionato, chi può amare più di te, con più forza, con più ardore? Veramente io debbo essere orgogliosa di sentirmi amata e desiderata così. E da chi? Da te!»

E di pagina in pagina cresce la sua commozione, mentre la soffocano i ricordi dei nostri giorni mistici in Assisi e le sorride la speranza di ricondurmi alla fede nel nome del Santo che m'è caro, nel nome di San Francesco.

«Il Santo mi parlò. Mai mai dimenticherò quella voce che udii nel cuore profondo. Anche tu sentisti sopra noi lo spirito del Serafico. Te ne rammenti? E ripenso alla clarissa che si commosse al suono della tua parola, ripenso al corpo di Santa Chiara, al roseto di Santa Maria degli Angeli. Quanto pregai in quei giorni! Mi sembrava che San Francesco proteggesse il nostro amore e che tutto fosse voluto da Dio perché tu ritornassi a Lui. Pensa quanto bene si spanderebbe da te!...»

E poi insiste su l'ansia dopo l'audacia della notte di Giovi:

«Non udisti come disperatamente ti richiamai quando non ti vidi più? Io rimasi ferma, impietrita, senz'aver la forza di muovermi. Poi mi scossi; e ritornai alla villa. Tutto era silenzio.

Anch'io con rammarico pensai che tu non avevi colto una foglia di quell'edera testimone della nostra ebrezza. Ma io so proprio il punto dove tu appoggiasti la testa. Coglie la foglia; te la manderò... Tutti i baci di Tristano son caldi e rossi su la mia bocca. Rivivo ogni attimo...»

Sorella Maria, dal 22 di agosto al 7 di settembre corrono due sole settimane. E in quelle due settimane ogni mio atto fu fraterno, ogni mia parola fu coraggiosa e dolce. Non cessai mai di ripetere: «Vieni. Rimani. Eccomi, ora e sempre, tutto per te».

Ditemi voi, anima giusta: chi ha fallato contro l'amore e contro la bellezza?

Tuttavia, se ella in questo punto m'apparisse e mi nominasse, la fólgore della gioia mi fenderebbe il cuore infermo.


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