Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Il sudore di sangue
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Dalla loggetta del Sansovino nel giorno di san Marco

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Dalla loggetta del Sansovino

nel giorno di san Marco

[xxv aprile mcmxix]

Volete dunque che io parli? Avevo rifiutato quando mi fu chiesto. Perché mi forzate?

Ero venuto in mezzo al popolo, Veneziano tra Veneziani, a questo spettacolo santo che fa tremare nel profondo anche un cuore mal nato. Come a Trieste, volevo serbare il silenzio e accrescermi di forza, aumentarmi di tutta la vostra anima.

Non è più tempo di parole. Abbiamo fatto troppo sperpero di eloquenza, da che stiamo con l’arme al piede. Se le parole sono femmine e se i fatti sono maschi, oggi ogni combattente riprende il suo posto, ogni cittadino tiene il suo, in silenzio; e pronti.

Durante il pomeriggio ansioso di ieri, sul campo di San Pelagio, sul campo della «Serenissima», ho passato due ore tranquille a preparare la mia mitragliatrice e a consolidare gli attacchi delle bombe nei fianchi del mio apparecchio di Vienna.

Il popolo grida: «Viva la Serenissima».

È la miglior bisogna che possa oggi fornire un soldato: occuparsi delle proprie armi.

Grande acclamazione.

La mitragliatrice è silenziosa, finché non la premano i pollici esatti. Le bandiere sono silenziose, finché il nembo della battaglia non le investa. Questa bandiera di Fiume non parla ma comanda: dal fondo dei secoli comanda al futuro, come il gesto di quel condottiero che è ritornato, come il bronzo di Alessandro del Cavallo. È immobile come un’armatura. Ha per asta la volontà, tutta la volontà del popolo libero. Non garrirà se non alla cima della nostra gioia, domani.

Grande acclamazione. Grida di «Viva Fiume

E lo stendardo dei Dalmati stamani al sole riprende il suo colore originario: il rosso. In tutte le nostre bandiere stamani il rosso predomina. Che c’importa omai del verde? Che c’importa della speranza?

Noi non più speriamo, ma vogliamo. Intendete? Vogliamo.

Ripetete questo verbo.

Tutto il popolo grida: «Vogliamo!»

Ripetendolo, in carne e in ispirito, ciascuno di voi – anche il più umilecrea il nuovo destino.

Il popolo grida ancóra: «Vogliamo!»

Questo basta.

San Marco, il nostro San Marco, ardito e savio, quando credeva giunto il tempo di troncare la facondia dei suoi ambasciatori, chiudeva il Libro. Imitando finalmente il patrono leonino, i nostri Capi, su la tavola dei bari, sul banco dei barattieri, hanno chiuso il libro. L’hanno chiuso alla pagina della falsità e della menzogna. Lode a loro!

Tutta la Piazza risuona di una acclamazione unanime.

Oggi su tutte le porte marine delle città dalmatiche, su tutte le mura dell’ardentissima Fiume, è il Libro chiuso.

Se lo riapriremo, lo riapriremo alla pagina dov’è scritto col sangue del Montello, col sangue di Vittorio Veneto, come sopra la porta di Rovigno:

victoria tibi, marce. victoria tibi integra, italia.

Acclamazioni frenetiche.

Una sola domanda è da rivolgere a questa Italia ingigantita in una notte come quei vasti fiori che scoppiano nella notte con una violenta magnificenza. Per difendere il tuo diritto e per preservare il patto dei tuoi morti, sei pronta a ricombattere?

Tutto il popolo risponde a gran voce: «Sì».

Una sola domanda è da rivolgere a questo pensoso, a questo paziente, a questo eroico popolo di Venezia. Per difendere il tuo mare e la pace dei tuoi morti nel tuo mare, sei pronto a risoffrire, sei pronto al nuovo patimento?

Tutto il popolo risponde un «sì» anche più alto.

Allora io dico che abbiamo vinto.

Allora io dico che il cielo teso fra i tre pili e le cinque cupole è il più glorioso dell’universo, dopo quello del Campidoglio che bisogna purificare della profanazione compiutavi dagli illusi nell’accogliervi il nemico sorridente.

Lunga acclamazione.

Giunga da Venezia a Roma il grido dalmatico: «Ti con nu, nu con ti!»

Giunga da Venezia a Fiume, a Zara, a Sebenico, a Traù, a Spalato, a Ragusa, a Cattaro. Sollevi tutte le onde dell’Adriatico.

Viva San Marco!

Il popolo ripete il grido e agita le bandiere.



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