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RICOMPENSE ITALIANE AL VALOR MILITARE CONFERITE ALL’UFFICIALE DI COMPLEMENTO GABRIELE D’ANNUNZIO DEI LANCIERI DI NOVARA TRE «PROSE» DI GIOVANNI RANDACCIO SCRITTE DIETRO LA CARTA TOPOGRAFICA CHE GLI SERVÌ NELL’AVANZATA DEL NOVEMBRE 1916 |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
TRE «PROSE» DI GIOVANNI RANDACCIO SCRITTE
DIETRO LA CARTA TOPOGRAFICA CHE GLI SERVÌ NELL’AVANZATA DEL NOVEMBRE 1916
i – la verità
Il nuovo simbolico grado, che il Comando Supremo ha voluto assegnarti, è la consacrazione del più grande Poeta-Soldato, nell’ora fucinatrice degli alti destini. Ma ben maggior valore ha per noi soldati che ti abbiamo visto fra le nostre file, nell’infuriar della battaglia, gridar sereno e forte la parola incitatrice della vittoria.
Il sibilo, il rombo, lo schianto sconvolgevano il terreno d’intorno; e tu saltando leggero tra vortice e vortice, «Avanti» gridavi «sempre più avanti, o soldati d’Italia!»
E passavi come una visione, di sasso in sasso, spruzzato di sangue, nella via cosparsa d’eroi, immune come un’anima, mentre eri preziosa materia.
ii – il mònito
Più alto e più solenne mònito sia il tuo novello grado per quei pochi che nei tempi meschini, non sapendo come diminuire la grandezza dell’arte tua, la dicevano arte d’amore e di piacere.
Il nome di Capitano, che oggi ti consacra, dice agli italiani: «Chi ha buon sangue viene in trincea, e muove il passo verso la vittoria.»
Più alto e solenne mònito sonerà il tuo grado di Capitano, guadagnato sul campo, per quella parte del mondo che, mercè tua, invidia la nostra grande arte e la vuole unica virtù di nostra gente, facile a schiacciarsi col pugno che picchia sodo.
Gli allori conquistati, combattendo fuori degli ingiusti confini, dal più dolce poeta d’Italia, dall’imaginifico, dal dionisiaco poeta d’Italia che, trasmutato in combattente del cielo, del mare e della terra, ha gettato la morte, ha conosciuto gli abissi, ha spronato le schiere, dicono al mondo:
«Ecco la vera anima dell’itala gente.»
Iii – la corona
Quando passasti fra noi nella mischia, o grande Poeta-Soldato, una orrenda granata ti cadde da presso; ma il mostro non nocque.
Allora dissi a un de’ miei fanti: «Leva la coronatura a quell’orribile vaso di morte. Ne faremo una corona per la testa del Poeta.»
Il soldato si curva e con la punta dell’arme stacca il rame dall’acciaio. Ma lavora con cura e quasi con mano leggera.
«Perché?» gli chiedo. «Tu temi guastar la corona?»
«No» risponde. «La corona sul capo del poeta soldato sarà sempre bella. Non voglio guastar la punta dell’arme che dovrà far nuova strage.»
Ho serbato la corona. E quando i miei bravi soldati avran tregua alla lotta, dirò loro sommesso:
«Questa è la corona del grande Poeta-Soldato. Fermateci sopra due fronde di lauro: una d’argento e l’altra d’oro.
Quella d’argento è per il poeta e quella d’oro per il soldato; perché oggi, in Italia, l’aureo alloro è serbato soltanto ai combattenti.»
Poi la poserò io stesso sulla tua fronte di Capitano.
(Ospedale da Campo 031, li 7 novembre 1916).