Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'urna inesausta
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L’ALTA DISCIPLINA

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L’ALTA DISCIPLINA

Soldati d’Italia, i consentimenti e gli aiuti alla lotta intrapresa dai sostenitori dichiarati della Causa diventano ogni giorno più fervidi e più larghi. Fiume rigurgita di combattenti devoti; e mi è difficile omai ospitare quelli che di continuo sopraggiungono. Reparti di tutte le Armi si presentano ai posti di sbarramento e chiedono di entrare in città. Battaglioni interi, reggimenti interi si offrono con un’abbondanza d’amore che persino le più belle giornate del Piave e del Grappa non conobbero. E non offrono soltanto la vita. Offrono tutto quello che hanno, il poco che hanno: la magnificenza della loro povertà.

Ieri il messaggero di un battaglione glorioso riuscì a eludere la vigilanza e a penetrare in Fiume per portarci una somma raccolta tra i poveri soldati che sono dall’«altra parte». E l’atto era accompagnato da parole di tanta purità e di tanta gentilezza che mi sembrò di vedere nella terra il sorriso beato dei morti.

Chi parla di disciplina violata? Chi parla di disgregata compagine dell’Esercito? Chi parla di diserzione e di ammutinamento?

La disciplina vera non è un’arida formula costrittiva, non è una dura oppressione corporale. Per la gente latina – che è la più nobile del mondo – la disciplina è il riconoscimento d’una volontà sovrana a cui tutte le altre volontà convergono contenendosi per essere più efficaci e più diritte.

Oggi la volontà sovrana è quella della Patria. Non vi sono capi che possano sovrapporsi alla volontà conduttrice della Patria, al comandamento solenne della Patria.

Se tutti gli Italiani oggi sentono e riconoscono di patire una ingiustizia, perché i soldati italiani debbono dare man forte a imporre l’ingiustizia palese, a eseguire l’iniqua sentenza?

Nessuna disciplina può proporre un atto criminale. La disciplina è una forza della coscienza profonda. E il soldato vittorioso è oggi la vera coscienza della nazione libera. Ed è non soltanto la coscienza della nazione: è la giovinezza creatrice della nazione.

L’Esercito, che pareva come invecchiato sotto il carico di tante umiliazioni e di tante calunnie, a un tratto ringiovanisce. Come l’albero invaso dal vigore della primavera nuova lascia cadere le ultime foglie secche e si copre di gemme viventi, così oggi l’Esercito si separa da ogni peso morto e vive d’una vita intera e sincera come non visse neppure nelle sue ore di battaglia più piene.

Per ciò non ho rimorso, non ho pentimento. Dico che l’impresa di Fiume è l’impresa di tutto l’Esercito italiano. Il fervore che di qui si propaga in tutte le file è un fervore santo.

Chi viene a noi compie un atto di disciplina sovrana, e serve la Patria. Chi non viene a noi, è schiavo di un pregiudizio senza forza e senza vita.

Fiume è una fucina di eroismo, com’era il Grappa. Gli eroi vengono qui a respirare l’elemento stesso delle loro anime. Tutti i combattenti sono attratti da questo fuoco assiduo. Le cicatrici fiammeggiano. E i mutilati sentono che furono potati per dar più frutto.

La nostra guerra si compie qui, si corona qui.

E, se alle truppe ogni giorno accorrenti ho dovuto consigliare di rimanere nel posto che occupavano dall’«altra parte», l’ho fatto per provvedere alla nuova situazione militare che si disegna.

Soldati d’Italia, voi sapete come la nostra volontà netta e compatta si sia levata contro la menzogna e contro la frode mutevoli.

Noi lottiamo a viso aperto contro un tradimento celato e inafferrabile.

Dopo l’investitura compiuta dal Consiglio Nazionale nella mattina del 20 settembre e dopo il giuramento rinnovato da tutte le truppe nel pomeriggio del medesimo giorno, io diressi agli Italiani questa breve dichiarazione:

Oggi 20 settembre il Comando l’Esercito il Consiglio e il Popolo hanno confermato solennemente l’annessione per la terza ed ultima volta, ponendo in pegno la vita e ogni bene.

Fiume il territorio il porto appartengono all’Italia.

La nazione non si lasci più illudere e ingannare. La nazione sappia che nulla potrà vincere la risolutezza del nostro proposito.

Il Ministro degli Esteri, prima di fare le sue dichiarazioni al Parlamento, voglia considerare questa realtà ineluttabile.

Qualunque sua dichiarazione, che differisca da quella su esposta, è inutile. Non potrà essere accettataattuata mai.

È mio debito di lealtà, verso il mio paese, parlar chiaro e fermo.

Fiume, che è la più infelice e la più beata delle città terrene, sembra non debba aver mai requie. Ha in sé una predestinazione di martirio che la consuma e la inebria.

La liberammo dalla minaccia d’esser consegnata ai Croati, come la vittima ai carnefici. Ed ecco è minacciata d’esser recisa dal suo porto, condannata a perire di soffocazione. Né basta.

Udite, soldati d’Italia, e poi gettate il vostro urlo di collera.

Fiume è minacciata d’esser recisa dal corpo vivo dell’Istria. Il Governo e gli Alleati vogliono punire la sua sublime fedeltà separandola dalla Madre Patria, con un taglio crudo. Il Governo e gli Alleati vogliono mettere un cuneo nemico nel fianco dell’Istria: un cuneo che forse arrivi sino alla squarciatura di Fianona!

Ridurre Fiume una boccheggiante agonia italiana dentro un cerchio spietato è nel proposito di costoro.

Come lottiamo e lotteremo per la città, come lottiamo e lotteremo per il porto, noi lottiamo e lotteremo pel territorio.

A me, soldati d’Italia! A me tutti i soldati dell’«altra parte»!

Voi dovete rimanere nel territorio che occupate. Voi non dovete lasciarvi smuovere. Appartengono all’Esercito italiano di Fiume tutti quelli che si sono offerti e che fino a oggi non hanno passato la linea di sbarramento. Da oggi tutto il territorio a levante di Fiume – con Volosca, con Abbazia, col Monte Maggiore e con tutto il resto – «è nello stato di vigilanza e di resistenza come la città».

La vigilanza e la resistenza sono affidate a quanti vogliono servire la santa Causa.

Per guardare la città, le presenti truppe bastano. Per guardare il territorio, la devozione di tutte le altre sarà accolta con la più profonda gratitudine della Patria che non può senza orrore veder stroncata la sua creatura diletta.

Soldati d’Italia, voi sapete con quali sotterfugi vergognosi, con quali basse astuzie fu allontanato da Fiume il presidio. L’esodo tristo ebbe l’aspetto della disfatta.

Vigilate. Non vi lasciate raggirare, non vi lasciate ingannare.

La parola romana che fu gridata dagli occupatori della città sia ripetuta dagli occupatori del territorio, con la medesima fermezza, con la medesima fede: Qui rimarremo ottimamente.

Io confermo che si osserva così l’alta disciplina, si obbedisce così al supremo comando della Patria.

Dai reparti di tutte le armi m’attendo un segno leale della loro dedizione alla Causa.

Viva l’Esercito della Vittoria!

Da Fiume: 22 settembre 1919.

Il Comandante

Gabriele d’Annunzio


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