Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'urna inesausta
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ALLA MENSA DEGLI ARDITI

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ALLA MENSA DEGLI ARDITI

Arditi d’Italia,

e parlo ai presenti e parlo agli assenti, e parlo a chi comanda e parlo a chi obbedisce,

Arditi d’Italia,

venire a voi è come entrare nel fuoco, è come penetrare nella fornace ardente, è come respirare lo spirito della fiamma, senza scottarsi, senza consumarsi.

Ardore-Ardire è una parola sola, è una sola essenza mistica come Roma-Amor.

In una delle vostre medaglie commemorative il combattente all’assalto è rappresentato avvolto dalla vampa, incombustibile come la salamandra della favola, con una bomba in ciascuna mano.

Il vostro elemento è l’ardore, la vostra sostanza è l’ardire. Per ciò, se il Carso era un inferno, voi ne eravate i dèmoni. Se l’Alpe era l’empireo della battaglia, voi ne eravate gli angeli. Creature fiammanti sempre e da per tutto. E ci fu qualche notte d’estate, ci fu qualche notte d’autunno che l’acqua del Piave, al vostro guado, rugghiò come quando immerso il ferro rovente si tempra.

La mattina del 12 settembre, appena vidi il Colonnello Repetto a cavallo spronare verso di me pallido di ebrezza, e il battaglione guizzare all’improvviso come un fulmine a ciel sereno, mi cantò nel cuore balzante il ritornello d’una vostra canzone:

Olà olà,

e la vittoria da noi s’avrà!

Era infatti la vittoria certa.

E la mano mi corse a questo rude pugnale che mi donarono a Caposile gli Arditi tuttora stillante di sangue austriaco.

Arditi, questo pugnale mi consacrò Fiamma blu.

Lo portai con assiduità superstiziosa a Pola, a Cattaro, a Vienna, e cento volte nel cielo carsico, e cento volte sopra l’Ermada, in tutti i miei bombardamenti aerei. E nel volo di Vienna, stando io incastrato nel serbatoio della benzina, nel «seggio incendiario», dovetti tenere di continuo nel guanto il puntale del fodero perché non mi sfondasse la lamiera troppo sottile e non mi mandasse «a remengo», come direbbero i Veneti della vostra Cavazuccherina.

Io voglio che voi mi riconsacriate stasera Fiamma blu.

Arditi, siete pochi, eppure senza numero. Tutti i vostri eroi caduti, evocati dall’eroico Don Reginaldo Giuliani nel campo di Bancade davanti all’altare castrense pavesato di bandiere (c’è tra voi chi se ne ricorda?), tutti sono dietro al battaglione,

con le bombe a man,

con le bombe a man,

come nel vostro Inno della Morte.

E la vostra canzone della Rivincita si rinnovella.

Volevate tornare cantando a Caporetto; e ci siete tornati. Volevate tornare a Cividale cantando; e ci siete tornati.

Ora siete a Fiume, siamo a Fiume; e ci restiamo, cantando.

E noi facciamo scola di pugnale.

E siamo un solo fegato immortale.

Venga il gran Porco a smuoverci di qua.

E noi facciamo scola di moschetto.

E Fiume ha contro il mondo il nostro petto.

Viva l’Ardito della Libertà!

24 settembre 1919.

Gabriele d’Annunzio


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