Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'urna inesausta
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I FEDELISSIMI

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I FEDELISSIMI

Dinanzi a tutti i combattenti, che con una gloriosa volontà più forte di qualunque esercito e di qualunque armata navale hanno restituito in perpetuo l’Italia a Fiume e Fiume all’Italia, ho l’onore di proporre l’Encomio solenne per la Legione dei Carabinieri volontarii.

L’esempio dato da questi «fedelissimi tra i fedeli», nel sacrificare il sentimento della disciplina consueta al sovrano comando della Patria, è ammirabile. Rivela un eroismo interiore assai più raro della prodezza ch’essi dimostrarono sul Podgora, sul San Michele, su l’Ermada e lungo il Piave maschio. È la più austera testimonianza che sia stata resa alla bellezza e alla grandezza della nostra Causa.

Quando un ufficiale esemplare come il Capitano Rocco Vadalà, insignito di dieciotto ricompense al valore, ferito tre volte, dichiarato eroe integerrimo dall’ammirazione dell’eroica Brigata Sassari per la sua condotta al Quadrivio di Pralungo e a Castelletto (Ordine del giorno in data 5 luglio 1918) supera il conflitto della sua coscienza e fa l’intera dedizione di sé alla santa Causa, qual mai peso possono avere contro noi le meschine rampogne, le meschine menzogne e le minacce più meschine ancóra?

Quando un soldato esemplare come Francesco Ciaglia, veterano di Gorizia e del Carso, del Monte Zebio e di Tierno, decorato quattro volte, ferito anch’egli tre volte come il suo Capo, convalescente in Roma per ferite, accorre con le cicatrici ancor fresche, non reggendo all’ansia di raggiungere il Capitano e di offrirsi, che valgono le riserve e le restrizioni ingenerose di coloro che chiamano indisciplina lo spirito di sacrificio e ammutinamento l’impeto unanime verso un’idea di giustizia che qui rimane sola a illuminare il mondo forviato?

Come non mi stanco di affermare che la Patria vera è qui, così non temo di affermare che qui soltanto è l’onore dell’Arma, o Carabinieri volontarii.

Non è certo dove nel tumulto della via e della piazza si calpesta la bandiera di Fiume italiana, si reprime col pugno il grido che esalta la Città Olocausta.

Non è certo dove a furia di schiaffi si tura la bocca rabberciata dal chirurgo al mutilato che canta l’inno di riscossa, o si raccorcia col taglio della sciabola il moncherino levato alla protesta, o si sbatte sul lastrico come un sacco di cenci chi perdette una gamba all’assalto de’ Sei Busi.

Non è neppur , su la linea del blocco, dove si malmena chi per giungere alla mèta sacra ha digiunato in cammino tre giorni e s’è trascinato per boschi e per valichi esausto.

Non è neppur dove si veglia con estremo rigore per affamare italianamente i fratelli italiani «passati al nemico».

Non è neppur dove si manomette e si insudicia la lettera che la madre lontana del fante scrive al suo glorioso «disertore».

Carabinieri volontarii, l’onore dell’Arma non è dove tutte le brutalità sono aizzate a eseguire le repressioni odiose di quel bestialissimo sbirro che imbavaglia e ammanetta l’Italia stracca.

L’onore dell’Arma, come d’ogni altro corpo dell’Esercito Italiano, è qui dove la vostra Legione ogni giorno crescente, condotta dal più prode e dal più sagace dei capitani, si adopera a purificare la città dagli intrusi, a preservare l’ordine civico, a rasserenare la vita urbana, facendo della nostra Fiume, anche per questa dignità armoniosa, l’esempio del mondo.

27 settembre 1919.

Il Comandante

Gabriele d’Annunzio


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