Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'urna inesausta
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NEL TRIGESIMO

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NEL TRIGESIMO

Soldati di terra e di mare,

oggi è un giorno religioso per i liberatori della città, per i mallevadori della vittoria. È il trigesimo della «santa entrata», cade oggi il trentesimo giorno dall’ingresso trionfale della legione di Ronchi. È una ricorrenza solenne che noi celebriamo in armi. I lauri di quel gran mattino sono tuttora vivaci, sono perenni. Hanno inghirlandato le bare dei nostri morti primi. Nel lutto come nel giubilo, l’odore potente e puro della fronda vittoriosa ci ha rinsaldato il petto. Tra il grido e il compianto, abbiamo assicurato la conquista, coordinato le forze, preparato le difese, confermato i propositi, misurato gli eventi. E, di da tutte queste opere della volontà indefessa, abbiamo sentito la nostra fede salire sempre più in alto, abbiamo sentito la nostra fierezza farsi sempre più sicura.

Quel che la Patria ha di più nobile, di più animoso, di più generoso è venuto a portarci la sua testimonianza. Ancóra una volta la nobiltà ha il suo riconoscimento dalla nobiltà.

Soldati di terra e di mare, un fremito d’orgoglio corse nelle nostre file quando vi fu annunziato l’approdo di un capo eroico, del più amato fra i vostri capi, del più vicino ai vostri cuori, il quale giungeva alla riva della vita nuova, giovine come il suo figlio, eguale in ardore e in vigore alla vostra giovinezza, dicendo la parola dell’intima libertà e della abnegazione severa: «Sono sciolto dalla vecchia fede. Eccomi. Nuovo sono com’è nuova l’Italia in cui crediamo, per cui vogliamo ancóra lottare e morire

Combattenti d’Italia, il Generale Sante Ceccherini assume oggi il comando della Prima Divisione di Fiume. È un alto onore per voi avere un tal comandante; è un alto onore pel comandante avere tali soldati.

Egli è l’eroe libico di Sidi Said e di Zanzur. Egli è l’eroe carsico del Veliki, del Pecinca, di Castagnevizza. Egli è l’eroe veneto della Marca Gioiosa, di Fagarè e di Mezzolombardo. Egli è l’anelito degli assalitori, il soffio della battaglia rapida, l’ebrezza delle sue compagnie piumate che sempre egli condusse dove volle, con un solo gesto e un solo sguardo.

Egli è l’audacia e la sagacia, la fermezza misurata e la bontà maschia, il padre pensoso e il fratello sorridente.

Fin dalla prima ora egli ha preso tutte le vostre anime nella sua, che è capace di contenerle tutte e di moltiplicarle e di esaltarle nel suo proprio fervore.

Egli ha detto: «Sono sciolto dalla vecchia fede.» Ha scrollato da sé con una prontezza giovanile quaranta anni di rigida obbedienza; ma non ha creduto di essere infedele al Re nel seguire il comandamento della Patria impresso nel suo cuore intemerato.

Come si può fondare la nazione nella legge, prima di averla fondata nello spirito? Come si può dar tregua ai profanatori e agli schernitori che tuttora premono contro la bocca divina la spugna impregnata di sangue e di tossico infissa in quella medesima canna che servì a percuotere il Figliuol d’uomo?

Soldati, compagni, egli ci dice che la verità e la fedeltà sono nella nostra passione, nella nostra abnegazione, nella nostra aspettazione.

E con lui è un fratello degno di lui, un cavaliere senza macchia e senza paura, della più robusta impronta, della più fine tempra: il Generale Corrado Tamaio.

Onoriamo questi due capi ammirabili, questi due ottimi Italiani.

Gli avversarii obliqui e i sermonatori lividi ci rimproverano d’inasprire la ferita nella carne della Patria. La piaga aperta duole, la piaga aperta vive e splende: la cicatrice è insensibile, può essere dissimulata e dimenticata. Ci sono cicatrici disonoranti.

Di questa ferita ciascuno di noi vuol perire piuttosto che guarire in vergogna.

È bene che bruci, è bene che dolga. È bene che renda inquiete e vigilanti le nostre notti.

«Vegliate e pregate, se non volete soccombere alla tentazione che vi attende» disse il Figliuol d’uomo agli stanchi e agli incerti.

Combattenti della più grande Italia, fiore dell’Esercito Vittorioso, non v’è bassa tentazione per voi, non v’è stanchezza, non v’è incertezza.

Vegliate come nella trincea, pregate come dinanzi all’altare castrense.

Oggi è il trigesimo d’un giorno santo.

«Fiume o morte» fu la parola di quell’ora.

E la parola di quest’ora è: «Fiume o morte

E la parola di ogni tempo e di ogni evento, o Arditi di tutte le Armi, è sempre la stessa:

A noi!

12 ottobre 1919.


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