Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'urna inesausta
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IL FANTE LUIGI SIVIERO

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IL FANTE LUIGI SIVIERO

Combattenti di terra e di mare, volontarii della causa d’Italia,

da che noi teniamo la città e sosteniamo la nostra fede e della nostra disciplina facciamo il nostro onore e della nostra forza facciamo la nostra pazienza, non fummo provati da una sciagura più grande di questa sciagura, non portammo un lutto più grave di questo lutto.

Quando due giovani Italiani accesero primi in mezzo alla terra dell’ardore il rogo del loro sacrifizio (cadrà domani il trigesimo), noi fummo abbagliati da quella fiamma e glorificammo con non so qual fervente dolore la coppia alata che aveva offerto il primo olocausto di libertà all’Olocausta.

Fanti di Fiume in attesa di ben altro nemico, nella notte d’Ognissanti, nella notte vittoriosa d’Ognissanti, fu sparso il primo sangue fraterno. Il primo fante italiano nella terra di Fiume italiana fu colpito da mano fraterna. Questa è la sciagura che s’abbatte su la nostra opera d’amore. E questo è il delitto che pesa sopra chi contrappone alla nostra opera d’amore un’opera insensata di violenza e di menzogna.

Nell’oscurità fu commesso il delitto, e le facce non si mostrarono. Neppure il lampo della scarica le illuminò. Al grido del fratello colpito seguì la fuga ignobile. Erano quaranta contro sei. Colui che aveva comandato il fuoco fu il primo a scomparire. Soldati d’Italia, ho l’angoscia alla gola, ma voglio vincere l’orrore. Mi bisogna anche una volta bruciare un miserabile col mio marchio. Non esito. Ecco il nome del nemico che, senza necessità, per bassa smania di acquistar grazia presso un bieco dispregiatore della nostra fede irreprensibile, aizzò fratelli contro fratelli, e poi si vantò del colpo: Enrico dell’Uva. Segnatelo.

E ponetegli incontro il nome luminoso del piccolo fante veneto: Luigi Siviero. Ponetegli incontro il nome del semplice eroe che Contarina di Rovigo inciderà nella pietra e murerà presso quelli degli altri suoi morti in guerra, gloria accanto alla gloria.

È il nome del primo fante di Fiume caduto per la sua fede, spirato con l’innocenza di un giovine martire.

Colpito a morte, non si lamentò, non imprecò. Dall’intollerabile dolore non gli escì se non una parola eroica: «Mi volevano far prigioniero: morto sì, vivo no.» Fu la sua prima parola e fu l’ultima. Nella sua agonia, mentre io ero al suo capezzale e gli baciavo per tutti i fanti la fronte già fredda, trovò la forza di dirmi, spalancando i suoi belli occhi bruni: «Ah, Comandante, mi volevano far prigioniero: morto sì, vivo no.»

E, prima di esalare l’anima devota, mormorò anche una volta: «Morto sì, vivo no.»

Soldati di Fiume, soldati d’Italia, questo piccolo fante sereno è il più grande confessore della nostra fede. Così parlavano, così parlano i martiri deliberati a morire piuttosto che cedere.

Fanti del Battaglione Randaccio, alzate la fronte. Il dolore sia orgoglio.

Lo spirito di Giovanni Randaccio doveva scegliere uno tra voi per illuminarlo a sua somiglianza, come dei discepoli faceva il Maestro.

E l’elezione è perfetta. Luigi Siviero è morto della stessa ferita. La stessa ferita s’è aperta in lui, come nel posseduto dall’amore di Cristo misteriosamente s’apriva la stigmate.

Quando nell’alba di maggio trasportai il mio compagno alla Caverna delle Fornaci, di qua dal Lokavaz, egli non sentiva più le gambe, era già perduto dalla cintola in giù, come l’altra notte sul pagliericcio il nostro fratello.

L’eroe del Sabotino, del Veliki e del Faiti ha voluto rimorire, per la fede di Fiume, nel piccolo fante del suo nuovo battaglione. È giusto che su questo feretro sia distesa la bandiera che coprì il superatore del Timavo in Monfalcone e in Aquileia. È la bandiera di tutti i fanti.

Ma il mistero si fa più profondo.

Ieri una donna regale giunse a Fiume d’improvviso, reduce da Monfalcone, reduce da Aquileia, reduce da tutti i cimiteri ch’ella aveva visitato piamente a fianco di quel Duca magnanimo da me chiamato «vicario della gloria».

Sotto i cipressi di Aquileia romana ella s’era inginocchiata davanti alla rude arca di pietra che sta su la sepoltura di Giovanni Randaccio. Presso i lauri funebri ella aveva pregato per l’anima sublime di Giovanni Randaccio. E, coronata d’una corona più raggiante di tutte le corone regali ed imperiali, bendata di sacrificio, la visitatrice dei cimiteri ardenti venne ieri alla città ardente, quasi per inspirazione divina.

E quella che sa lo splendore del sangue nostro, quella che sa come risplendano le ferite, quella che sa come sorrida lo strazio, quella che si chinò al capezzale di tutti i morenti, quella che ebbe il balsamo per tutte le piaghe e il premio per tutte le virtù, la nostra sorella augusta, la più dolce e la più coraggiosa nostra sorella, mossa dall’inspirazione divina, trovò anche una volta la via lucida della morte. Andò fino alla bara del fante, s’inginocchiò presso la bara, pregò per il fratello ucciso dal fratello, col medesimo fervore con cui aveva pregato davanti all’arca eroica.

Sia lodata! Sia benedetta!

Noi combattenti di Fiume vogliamo serbare nel cuore la sua imagine in quella attitudine d’umiltà regale.

Quando si rialzò, il suo mantello parve l’ala d’un grande arcangelo guerriero, che prendesse sotto la sua ombra il nostro morto sorridente.

Luigi Siviero, il sorriso del sacrifizio accettato sembra trasparire di dalle quattro assi che ti serrano e rischiarare a noi il cielo triste.

Tu ci dici che il tuo sangue non può esser vendicato sopra la colpa fraterna. Tu ci plachi e ci conforti.

Ma il tuo sangue sarà il novo cemento della nostra concordia e della nostra costanza, o cuore invitto.

I fanti di Fiume te lo giurano. I fanti di Giovanni Randaccio stendono la mano su questa bandiera che è la coltre degli eroi e il labaro dei credenti.

5 novembre 1919.


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