Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
L'urna inesausta
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PRENDIAMO LA VITTORIA

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PRENDIAMO LA VITTORIA

Signori del Consiglio, avete udito una parola animosa e vigorosa, semplice e netta. Convertitela in opere.

Siate non uditori ma facitori della Parola è scritto su l’antico pergamo latino d’una tra le più illustri città lagunari tolte al servaggio abominevole.

Voi siete oggi i facitori della parola. E siete tuttora combattenti guidati da un combattente; il quale stette, come io stetti, su la riva destra del Piave, e attese la riscossa.

Signor Sindaco, signori del Consiglio, oggi in questa riva noi siamo come eravamo, or è due anni, su la destra del Piave.

Di qui parte la seconda riscossa.

Voi lo sapete. L’Italia di laggiù non è il premio dei combattenti. È il bottino dei disertori, è la cuccagna dei vigliacchi.

Sembra che laggiù le urne elettorali sieno state poste come si ponevano i barili di malvagio vino in mezzo a quegli orridi campi di concentrazione dove affluivano le mandre fangose di Caporetto.

E novamente oggi la Patria ha la sua notte di Gethsemani, la sua angoscia mortale, il suo sudore di sangue, il bacio dell’infamia, la lividura della vergogna.

Chi la salverà se non la nostra fede provata omai in tutte le prove? Di dove partirà la seconda riscossa se non da questa riva?

Cittadini, fratelli, come oggi il nostro lavoro ricomincia, così ricomincia la nostra lotta: più fiera.

Ho bisogno che voi mi confortiate di perseverare. Ho bisogno di sapervi unanimi nella mia costanza.

Si continua a parlare di manipolazioni perfide, di compromissioni vili, di deformazioni disonorevoli.

Si propone, a prezzo di garanzie malsicure, che io lasci la città coi miei volontarii e trasmetta ad altri l’officio di comporre il conflitto.

Mi riconfermate voi la vostra fede intiera? Siete convinti che il solo mio dovere è di rimaner qui, contro tutto e contro tutti, sino all’ultimo?

Ditemelo.

Siete convinti che la nostra salute sta nella resistenza a ogni costo?

Ditemelo.

Ero sicuro della vostra risposta, o combattenti, o resistenti.

Sì, oggi siamo qua come su la riva destra del Piave. Lasciare il Piave era lasciare la vittoria. Lasciar Fiume è lasciare la vittoria.

In Zara la Santa, in quel tempio rotondo di San Donato che l’edera dei secoli abbraccia («Così morir mi piace» dice l’edera), io vidi l’altra sera una tazza di vetro alessandrino ov’è scritto fra due foglie di palma: «Λαβὲ τὴν ĸƞν» – «Prendi la Vittoria».

Podestà e Sindaco, rappresentanti e consiglieri, città vecchia e nuova, passato e avvenire, bisogna che noi prendiamo la vittoria. Intendete? Bisogna che la prendiamo, anche se sia necessario bere la tazza amara sino alla feccia e riempirla e votarla tre volte.

Eletti del popolo, difensori del diritto, è questo il pensier vostro?

Così Dio ci aiuti.

Fiume, 24 novembre 1919.


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