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AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO NAZIONALE
IN FIUME D’ITALIA
Il Comandante crede che il plebiscito debba essere attuato sopra una formula netta, nella quale sia inclusa la questione intera.
Il gioco degli equivoci può essere tentato nei comizii ma non deve falsare l’atto solenne della votazione.
È necessario che al Quesito sieno aggiunte queste parole: benché non assicurata dalla garanzia che dell’esecuzione dà la presenza di Gabriele d’Annunzio e dei suoi legionarii.
Il popolo non ha ben compreso. Anche dal comizio di iersera è uscito senza luce.
Il popolo schietto mi chiede di continuo, a viso a viso: «Perché ci vuoi lasciare?»
È necessario ch’egli sappia come l’accettazione della «soluzione provvisoria» comporti l’allontanamento immediato di quei combattenti che furono da lui chiamati liberatori.
Non è giusto che il popolo sia illuso o forviato. È giusto ch’egli sia posto davanti alla questione intera, alla realtà intera; e ch’egli sia posto anche davanti alla sua coscienza, davanti alla sua anima.
Questo io esigo, come Capo. Io conosco il peso di tanto destino. L’ho sopportato. Lo sopporto.
Anche oggi il mio coraggio non teme di proferire la sua parola umile e superba: Tocca a me solo.
Ma se il Consiglio Nazionale creda di dover mantenere la sua formula incompiuta, a me non resta se non rassegnare i poteri e abbandonare senza indugi la città che amo.
Fiume d’Italia, 17 decembre 1919.