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ecco un altro dono d’anima, che mi viene dall’eroica Trieste di Guido Corsi e di Spiro Xidias, dall’invitta Trieste di Ugo Polonio e di Ruggero Fauro.
Il vostro compagno, perseguitato da quei tristi Italiani che serrano Fiume come una città nemica, è venuto a piedi per spiagge e per boschi, nascondendo il dono come una cosa di contrabbando. È caduto più volte, e il cuoio della custodia ne porta i segni. Ansava nel giungere, e grondava sudore. Mi ha ricordato quei giovani Istriani, come Egidio Grego o Ezio de Marchi, che passavano la linea travestiti lacerandosi alle punte delle petraie carsiche o aggrappati all’asse di una vettura, sotto un treno in corsa.
Come allora l’Italia bella era di là, oggi l’Italia bella – la vostra, la nostra – è di qua, e soltanto di qua.
È il vostro luogo, questo. È pur sempre un luogo di luce. Le menzogne, le calunnie, le frodi, tutte le forme dell’altrui falsità e viltà non l’oscurano né mai l’oscureranno.
Siate tranquilli. Terrò la promessa fino all’ultimo. «Tocca a me solo.»
A redimere la Vittoria uno solo basta. Mi ricordo di quella notte autunnale, poco dopo l’armistizio iniquo, quando da Aquileia venni a Trieste non riconosciuto, per porre un mazzo di garofani rossi sopra la pietra tonda che segna il supplizio di Guglielmo il Precursore. C’era posto, in quel cerchio tragico di due spanne, c’era posto per i piedi della Vittoria.
Miei giovani fratelli, non so se la sorte mi lascerà compiere il vóto di Giovanni Randaccio in San Giusto. In cima alla torre quadra è piantata l’asta per la grande Bandiera dei Fanti. La bandiera deve per ora rimanere in Fiume ingannata e minacciata.
Ma voi sapete come io serbi sotto il mio guanciale quel ferro d’alabarda che mi donarono le genti redente fra il Timavo e il Carnaro. E i miei sonni sono brevi. Non decipit somnus.
Arrivederci e addio. Addio e arrivederci.
Fiume d’Italia, 29 decembre 1919.
Il vostro sempre