Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Vita di Cola di Rienzo
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La vita di Cola di Rienzo

V

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V

L’avvenire appariva come una nube di procella. Il Bavaro aveva gran fame d’oro: dopo aver tolto con martirio la signoria di Viterbo e il tesoro a Salvestro de’ Gatti, fece in Roma una imposta di trentamila fiorini, non senza indegnazione del popolo che dalla presenza dell’Imperatore s’attendeva larghezze e non carichi. Appresso, fece parlamento nella Piazza di San Pietro; vestito di porpora, col globo e la verga, comparve solennemente su i grandi pergami eretti dinanzi alla chiesa; e, al conspetto della moltitudine silenziosa, con una molto lunga sentenza rimosse il prete Jacopo di Caorsa, il quale si faceva chiamare papa Giovanni ventiduesimo, dall’officio del papato e da ogni officio e beneficio temporale e spirituale; in fine promise che fra pochi giorni provvederebbe di dar buono pastore ai Cristiani. E ricongregò in fatti, poco dopo, il popolo a parlamento nel luogo medesimo; e fece venire dinanzi a sé un frate minore chiamato Pietro da Corvara; e lo mostrò ai Romani, e domandò se lo volessero per pontefice; ed eglino risposero gridando, che sì. E l’eletto ebbe nome Nicola quinto, ed entrò in chiesa trionfalmente. E poco dopo ancóra, il della Pentecoste, il Bavaro cavalcò verso il Vaticano, all’incontro dell’antipapa e della sua corte di cardinali scismatici; e, smontato in chiesa, mise a quel suo frate minorita la berretta scarlatta e da quello fu egli novamente coronato e confermato imperatore. Il popolo ondeggiava fra l’allegrezza delle pompe e l’orrore delle profanazioni. Ma quando, stretto dalla necessità della moneta e dalle continue scorrerie delle genti napoletane nella Campagna, Ludovico deliberò di partirsi col suo antipapa e i suoi cardinali, l’ira popolare insorse con grande strepito sì che la dipartita fu obbrobriosa come una fuga. La plebe scagliava sassi e scherni gridando: «Muoiano gli scomunicati e viva la Santa Chiesa!» La notte medesima, senza contrasto, la città fu riformata all’obbedienza dell’Avignonese e dell’Angioino. Roma abiurò la fede data all’Imperatore e all’antipapa, riconobbe per suo solo signore Giovanni XXII, rinunciò ad ogni diritto nella elezione pontificia e imperiale. La morte risparmiò al vecchio Sciarra Colonna l’onta dell’abiura o la pena del bando; ma Jacopo Savelli e Tebaldo cercaron grazia presso il Papa e la trovarono.

Tutto si dileguò come fumo. Dalla breve illusione della maestà restituita il popolo ricadde nella tristezza dell’abbandono, si ricolcò nella sua miseria, udendo il rombo delle contese che si riaccendevano con più furore fra le torri dei grandi. Quando l’orfano ventenne Cola di Rienzo, spentosi il tavernaio della Regola, tornavasene da Anagni per la Via Casilina a quella santa e terribile Roma che più d’una notte gli aveva turbato i sonni nel durissimo letto, s’abbatté in una grande compagnia di penitenti vestiti dell’abito di san Domenico, con sul mantello cilestro una colomba bianca intagliata, che venivano gridando pace e misericordia. E si mescolò con costoro, e seppe ch’eran Lombardi, gentili uomini e rubatori, micidiali e religiosi, loici e mentecatti, chiamati fratelli della colomba, condotti da un Frate Venturino bergamasco dell’ordine dei predicatori. E con essi giunse in città, e li vide che si rassegnavano alle chiese e in quelle dinanzi all’altare si spogliavano dalla cintola in su e si flagellavano.

Errò per le vie anguste il contadino, smarritamente, oppresso dai ricordi della lontana infanzia; guardò le torri imbertescate, le case arse e disfatte, i palagi deserti, i chiostri invasi dall’erba e dal bestiame; s’arrestò agli sbocchi sbarrati dalle catene e dai serragli, ai capi dei ponti guardati dalle masnade con pavesi e balestre; fu testimone d’assalti, di ruberie, d’arsioni; udì a sera le laudi dei Battuti che passavano sul sangue e su le macerie a stormi tra il biancheggiare delle colombe intagliate, e ogni stormo con sua croce innanzi cantando. Come il frate da Bergamo congregò il popolo in Campidoglio per predicare la penitenza, confuso nella calca il giovine Cola stette ad ascoltare la predica; e forse per la prima volta, mentre la moltitudine gli mareggiava intorno mossa dalla parola, si risvegliarono confusamente in lui gli spiriti dell’eloquenza. Attentissimo egli era; e notò che i più attenti deridevano il frate a quando a quando cogliendolo in peccato di falso latino.


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