Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Vita di Cola di Rienzo
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La vita di Cola di Rienzo

XVIII

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XVIII

Marino tenne il nerbo della ribellione e del guernimento. Rainaldo e Giordano Orsini, quelli delle «ficora fresche», vi condussero con grande ardore le opere: rimondarono il fosso, alzarono doppio steccato intorno, abbertescarono le torri, balestri e manganelle posero per tutto, fecero provvisione d’uomini di danari di armi e di vettovaglie. Il Tribuno non stava già su gli avvisi: banchettava tra i suoi giocolari e cavalierotti, commetteva d’ogni sorta drappi ai setaiuoli di Calimala, dettava epistole agli scribi secondo le regole di Boncompagno fiorentino o secondo gli esemplari di Tomaso da Capua. Come i ribelli ebbero fornito l’apparecchio, egli spedì loro un messo che comparissero. Il messo fu rincorso e lasciato mezzo morto tra le vigne di Marino, non altrimenti che quell’altro il quale non avea pur potuto giungere alla corte avignonese e s’era rimasto su la Durenza con lacerate le scritture e rotte le ossa e la verga. Per risposta Giordano e Rainaldo si presero di osteggiare le terre intorno a Roma e di menar preda ogni giorno fin sotto le mura, con molto sbigottimento dei cittadini. Un’altra volta il Tribuno li citò che venissero a sottomettersi, brandendo le folgori del suo furore; e, per ispaventarli, ordinò che entrambi sopra una parete del Campidoglio fosser dipinti col capo in giù. Allora Giordano si spinse fin su la Porta di San Giovanni a prendere uomini femmine bovi pecore porci, ogni cosa trascinando alla ròcca; Rainaldo passò il Tevere, entrò in Nepi, arse e guastò tutto il territorio alla destra del fiume. Spinto dalle strida e dai lagni, il Severo finalmente bandì l’oste sopra Marino con ottocento cavalli e ventimila pedoni. Era tempo di vendemmia; l’uva matura gravava le belle vigne; colava il mosto dai tini. L’esercito raccogliticcio, più di saccomanni che di combattenti, si diede in furia a devastare i campi intorno al castello: tagliò le viti e gli alberi, bruciò le capanne, rubò gli ovili, portò il ferro e il fuoco sin nell’ombra dell’antichissima selva ferentina, sacra alla memoria della confederazione laziale che quivi tenne le assemblee solenni. Ma non fu dato l’assalto alle torri; furono bensì dati dal Tribuno per isfregio i nomi di Giordano e di Rainaldo a due veltri innocenti.

Era giunto intanto a Roma il cardinale Bertrando di Deucio legato del Papa e aveva spedito lettere al guastatore intimandogli di presentarsi senza tardanza. Cola levò l’assedio; ma, prima di partirsi, in quel rivo medesimo in cui era perito per la perfidia di Tarquinio Superbo il deputato aricino Turno Erdonio, egli affogò i due «cani cavalieri». Rientrò in città con le genti; disfece le case orsine ch’erano in fronte di San Celso; cavalcò al Vaticano. Tutto armato di piastra e maglia come un paladino che non sappia tregue, con manopole e morione, penetrò nella sacrestia, tolse la dalmatica d’oro e di perle imperiale, se la pose sopra l’arme a guisa di sorcotto; brandì la verga tribunizia, si accese di terribilità fantastica, e tra gli squilli delle trombe marziali comparve innanzi al Legato attonito.

Aveva dal Pontefice il cardinal Bertrando facoltà piena di togliere a Cola ogni dominio, di riporre in Campidoglio due nuovi senatori eletti, di iniziare contro il deposto un processo per eresia, di usare coercizioni sopra i Romani perché lo rinnegassero entro il più breve termine. Il Santo Padre rimproverava al notaro della Camera urbana il titolo di Tribuno augusto, il folle bagno nella conca di Costantino, l’alleanza con l’Ungaro contro Giovanna di Napoli, le violenze contro gli ottimati e il vicario, la citazione diretta contro Carlo e i principi dell’Impero, la violazione dei diritti chiesastici, l’abolizione di tutte le leggi sancite.

Al vedere l’uomo ferrato e scettrato in dalmatica da imperatore, il cardinale restò senza voce. Ma Cola molto ingrossò la sua dicendo con arroganza: «Mandaste per noi. Or che volete mai?» Rispose l’altro: «Abbiamo per voi informazioni di Nostro Signore il PapaTonò il devastatore delle vigne di Marino: «Che informazioni son queste?» Il Legato con prudenza si tacque, pensando di mettersi al sicuro in Montefiascone ove risiedeva il rettore del Patrimonio. Cola escì dal Vaticano senza deporre la dalmatica in sacrestia, rimontò a cavallo, e fece novamente oste sopra Marino.


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