Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Vita di Cola di Rienzo
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La vita di Cola di Rienzo

XXIII

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XXIII

Era in funeraria solitudine rimasto il seniore, sul monte di Palestrina consecrato alle distruzioni dalla prima ferocia di Silla. Nella cittadella per lui medesimo ricostrutta su le ruine sconvolte da Bonifacio, egli ricevette l’annunzio. Già tre figli della sua virtù aveva perduti in tre anni. Ora perdeva d’un tratto il primogenito foggiato a sua imagine e il leoncello sortito a superar tutti. Ascoltò, diritto in piedi, senza vacillare. Colore non mutò, non fece motto, non sparse lacrima, non mosse gesto di crucciosospiro d’ambascia. Soltanto gli occhi aridi chinò su l’ombra spaziosa che la sua statura non incurvata dal secolo stampava in terra; fissi li tenne in quella terra ingiusta che già tanta stirpe immatura aveva inghiottito e rifiutava la pace alle vecchissime ossa omai polite dai travagli del destino come le selci dal torrente infaticabile. Disse alfine, riscotendosi: «Sia fatta la volontà di Dio. Meglio è morire che sopportare il giogo di un villano

E, poiché non anche poteva coricarsi nella fossa, rimase in piedi ferrato ad apprestar le vendette.


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