Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Vita di Cola di Rienzo
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La vita di Cola di Rienzo

XXV

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XXV

Senza ciance, i Colonnesi e gli Orsini di Marino lavoravano alla gagliarda. L’aumento su la gabella del sale, imposto dal Tribuno per pagare i mercenarii, esasperò i Romani già tribolati dalla carestia. Allora, pur tra i fumi del vino e i lazzi dei giullari, l’uom delirante udì il rombo della tempesta. E da prima il tremolìo intermesso della paura gli tenne luogo del solletico operato in sommo della gola dalle barbe della penna per vuotar col vomito il sacco e riempierlo ancóra. Ma, poco dopo, il tremolìo gli si converse in serramento che gli attanagliò stomaco e strozza e più non lasciò passar boccone. Finita fu la gran gozzoviglia capitolina. L’uomo non poteva né mangiaredormire, di continuo agitato dalle larve e dai presagi. A ogni lieve romore, balzava in piedi credendo che crollasse il Campidoglio o che v’irrompessero nemici per uccidere. Al verso degli uccelli notturni, nascondeva il capo sotto i guanciali raggricchiandosi tutto nelle coltri. Per dodici notti un gufo malauguroso, quantunque scacciato dai servi più volte, tornò su la torre campanaria a gufare sinistramente agghiacciando le vene dell’insonne. Egli si sveniva come una femminetta, piagnucolava come un fantolino. Allora, per placare la sorte, cercò di raumiliarsi, di ritrar le corna in dentro, di farsi mansueto e pieghevole. Ricevette per suo compagno nel governo il vicario papale, si protestò obbedientissimo servo del Pontefice, rinunziò le pretese all’elezione dell’Imperatore, annullò i suoi decreti intorno ai diritti maiestatici del Popolo Romano, revocò le citazioni contro i principi alemanni, depose ogni potestà su i sudditi immediati della Chiesa, si spogliò financo dei titoli augusti per chiamarsi modestamente «Cola cavaliere e rettore per Nostro Signore lo Papa», appese all’altare della Vergine in Araceli tutti gli emblemi e tutte le insegne, infine per allontanare ogni sospetto di tirannide si mise allato un Consiglio di trentanove popolani. Ma sùbito scoppiarono dissidii tra costoro circa la gabella del sale e la nomina del capitano di guerra. Il popolo, mal disposto a un nuovo reggimento pontificio, negò l’ossequio al vicario. Questi accusò di doppiezza il Tribuno; minacciando, lasciò anche una volta la città e riparò a Montefiascone. Cola, rimasto solo, affannosamente si diede a riconciliarsi coi nobili, tolse dal carcere il Prefetto, tentò di stringere le nozze tra il figliuol di costui e la figlia di Giordano dal Monte, negoziò paci alleanze dedizioni. Ma, come più s’agitava, più si sprofondava il pusillo. La sua favola breve era compita.


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