Gabriele D'Annunzio: Opera omnia
Vita di Cola di Rienzo
Lettura del testo

La vita di Cola di Rienzo

XXVI

«»

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

XXVI

Movendosi Lodovico re d’Ungheria a vendicare la vituperosa morte fatta in Aversa del suo fratello Andreasso e a racquistare il reame di Puglia, vennero anche in Roma ingaggiatori con mandato di levar soldati per lui. Un conte di Minerbino e paladino di Altamura, chiamato Giovan Pipino, con suoi fratelli conti di Potenza e di Nocera, stando adunque in Roma ad assoldare bande per l’Ungaro, commetteva ogni sorta di ribalderie e di ladrerie. Collegato con Luca Savelli e protetto dal cardinal vicario, si rideva delle citazioni tribunizie e imperversava con arroganza crescente.

Ora, ai 15 di decembre, il Savelli fece affiggere alla porta della chiesa di Sant’Angelo un suo bando col quale invitava a una adunanza nelle sue case pel quarto giorno i suoi partigiani. Cola mandò un marescalco a lacerare il bando del sovvertitore e ad affiggere in suo luogo un atto d’intimazione a Luca perché comparisse nel termine di tre , sotto grave pena. L’officiale capitolino fu còlto dalle genti del Pugliese e malmenato. Cola citò allora in giudizio il paladino di Altamura. Costui per risposta si afforzò nel Circo Flaminio, alzò serragli e barre sotto l’arco di San Salvatore in Pesoli e in tutta la contrada dei Colonnesi, fece sonare a martello le campane della contrada, ragunò gente assai a cavallo e a piede, gridando: «Popolo! Popolo! Viva la Colonna, e muoia il Tribuno

Si trattava di menar le mani. Dov’era Giordano Orsini? La paura dirompeva al cavaliere dello Spirito Santo gomiti e ginocchia. Anch’egli fece sonare a stormo le campane. Per un e per una notte quella di Pescheria fu sonata del continuo da un giudeo; ma nessuno traeva a disfare le barre. Gli Orsini dal Monte non si mostravano; il popolo al romore si asserragliava nei suoi rioni e aspettava l’evento. Disperato il Tribuno mandò contro la forza dei ribelli un conestabile di nome Scarpetta; che rimase ucciso. E il buon giudeo si scalmanava tuttavia a scampanare a scampanare in Pescheria; e nessuno traeva alle barre; e Cola in Campidoglio «non sapeva che si facesse, sospirava forte, tutto raffreddato piagnea, sbigottito et annullato suo core era, non avea virtude per uno piccolo garzone».

Così l’impresa del Liberatore si discioglieva in lacrimette e in balbettìo. Lacrimava egli e balbettava, lacrimavano e balbettavano i suoi familiari intorno, mentre il buon giudeo di lungi sonava senza riposo. Escito dal palagio, lasciando la sua camera piena zeppa di epistole dettate e non inviate, il notaro della Regola andò a rifugiarsi in Castel Sant’Angelo; e quivi si stette chiuso e celato alcun tempo, e lo raggiunse la moglie partitasi dalle case dei Lalli in abito di frate minore.


«»

IntraText® (VA2) Copyright 1996-2013 EuloTech SRL